Questi giovani d’oggi e il disagio giovanile
"Se dovessimo scandagliare le forme del disagio giovanile, il denominatore comune è la fatica di desiderare." Il libro di Massimo Recalcati "La legge del desiderio".

"Se dovessimo scandagliare le forme del disagio giovanile, il denominatore comune è la fatica di desiderare." Il libro di Massimo Recalcati "La legge del desiderio".

“Se dovessimo scandagliare le forme del disagio giovanile, il denominatore comune è la fatica di desiderare. La fatica di accendere la propria vita, cioè avere una vocazione.”
Massimo Recalcati
Quante notizie di risse, violenze di gruppo avvenute nelle nostre città ci arrivano quasi quotidianamente sui nostri dispositivi ? Quanti articoli di giornali locali, o presunti tali, leggiamo su episodi di mala-movida, accerchiamenti, abuso di sostanze, trattati solo come conseguenze di poca polizia in strada e incapacità dei genitori di imporsi ?
Proprio qualche giorno fa, dopo l’ennesimo articolo di giornale su una rissa avvenuta nella mia città, mi sono fermato a scrollare e leggere i commenti lasciati dagli utenti sull’accaduto. Qui, ne riporto alcuni: “Mandarli nei campi a zappare è l’unica soluzione”; “Ma sti ca*****lli che escono per rompere il ca**o perché non si stanno sotto la gonna di mamma?”; “Sicuramente erano immigrati”; “Hanno fatto bene”; “Questo è perché non c’è più il servizio militare”; “Sono delinquenti e basta”; “In galera devono andare”; “Animali”.
Questa è una piccola finestra sulla mia città, ma anche uno sguardo su qualcosa molto aldilà e più in generale: uno sguardo su un pezzo di mondo, quello giovanile, che vive varie condizioni di disagio non comprese, insultate, giudicate tassativamente, bollate, schedate.
“Ci sono molte forme che il disagio giovanile può assumere, racchiuse in due macro-contenitori: quello del surriscaldamento e della glaciazione.”
Massimo Recalcati
Tutte le forme di disagio giovanile infatti possono essere effettivamente racchiuse in questi due contenitori se ci si pensa. Nel primo rientrano tutti quei fenomeni violenti come le risse, gli accerchiamenti, l’abuso di alcol, la tossicomania. Nel secondo invece, più oscuro, sono racchiuse le manifestazioni più nascoste e soggettive della condizione di disagio: l’autolesionismo, l’asocialità, i disturbi del comportamento alimentare.
Se il mondo fuori è estremamente competitivo, violento, in guerra, senza certezze, tirarsene fuori è l’unica soluzione che fa immaginare un pò di sollievo. L’unico modo per salvarsi dal vortice, dal flusso continuo in cui si è immersi.
Questo è un ragionamento logico, addirittura anche giustificabile purtroppo. C’è tuttavia una via mediana da consigliare come percorso assai più fruttuoso: ritornare nel flusso, starci, ma alle proprie condizioni e con le proprie regole. A proprio agio, senza farsi travolgere.
E’ chiaro che per riuscire a farlo, a trasmettere questo messaggio, c’è solo un metodo valido: quello psicoanalitico e terapeutico. L’avvio di un percorso clinico soggettivo proprio per ricostruire quel legame sociale che si è spezzato, a partire dalla conoscenza vera del sé e delle sue inclinazioni.
Diverso è il ragionamento sulla violenza. La lettura sugli atti che ne derivano e che ne sono impregnati, atti senza senso, deve partire dal riconoscere che c’è una difficoltà: quella di tradurre la violenza stessa in conflitto.
La violenza è la dimensione primitiva del conflitto e la canalizzazione sociale della violenza avviene attraverso il conflitto, il dialogo tra generazioni. Perché questo possa avvenire deve intervenire la Politica, in tutte le sue forme, a partire da quelle istituzionali.
La Politica che, senza alcun secondo fine, aiuta le nuove generazioni a trasformare la violenza insensata, madre soltanto di distruzione, in un conflitto politico. In cui la spinta violenta si alfabetizza in un discorso.
Tradurre in parole e richieste la violenza, questo deve essere il primo obiettivo. Perché più manca ascolto, più la violenza diventa una tentazione. Perché dove non c’è dialettica, viene preso tutto come una sfida e la violenza prende il posto delle parole.
Tutto quanto sopra detto è accomunato da una fonte ben precisa e presente fortemente nella società giovanile odierna: una grande fatica di desiderare. Una fatica ad accendere la propria vita, a riconoscere la propria vocazione: l’unico elemento nella vita, che le permette di essere viva, appunto.
L’educazione gioca un ruolo primario in questo. Educare: E- DUCERE, vuol dire “tirare fuori” da una persona il vero sé e dargli forma propria, formarlo.
Guardare negli occhi un giovane, conoscerlo a fondo, mettersi nei suoi panni con un insegnamento nel cuore: un albero si dovrebbe giudicare con un solo criterio, cioè dalla sua capacità di fare frutto.
Non c’è bisogno di nessuna prevenzione securitaria, di nessun processo di militarizzazione dei territori.
Quando la relazione, l’ascolto non sono più la base della società, questa non può più essere una società. Diventa un esercizio di potere, un gioco di forze che non possiamo permetterci.
Consiglio vivamente, per addentrarsi meglio nell’argomento attualissimo, il libro di Massimo Recalcati: “La legge del desiderio – Radici bibliche della psicoanalisi“, Einaudi 2024.

