In un tempo in cui l’ascolto musicale è sempre più guidato dagli algoritmi — playlist generate in automatico, cucite sulla base di ciò che abbiamo già ascoltato — stiamo lentamente perdendo un’abitudine preziosa: ascoltare un album intero.

Dall’inizio alla fine. Senza interrompere, senza saltare, senza cambiare artista.

Un’esperienza che richiede attenzione, tempo, e soprattutto volontà di scoperta.

Sting 3.0 Live

Ho voluto farlo con Sting 3.0 Live, e sono stato sorpreso da quanto mi abbia restituito. Un disco asciutto, nove brani in trio — basso, chitarra e batteria — con Dominic Miller e Chris Maas. Un ritorno alla forma essenziale del rock, ma anche qualcosa di più: una semplificazione che mi ha colpito profondamente essendo io stesso sempre più vicino al minimalismo.

Credo nella forza di ciò che è essenziale, nella potenza delle cose spogliate del superfluo. È un’idea che attraversa anche la mia musica. E ritrovarla in un artista come Sting, che ha attraversato tanti mondi e generi, è stata per me una sorpresa luminosa.

In questo live, Sting non ha bisogno di dimostrare nulla. Non rincorre tendenze. Non cerca l’effetto. Sembra quasi voler dire: “Ecco la mia musica, così com’è. Cruda, diretta, vera.”

E i brani, alcuni iconici — “Message in a Bottle”, “Englishman in New York”, “Fields of Gold” — si rivelano sotto una luce nuova. Ascoltate ad esempio Every Breath you Take

Il trio funziona. Le dinamiche sono ristrette, ma proprio per questo più intime. E la voce, la sua voce, è ancora lì: riconoscibile, inconfondibile, capace di attraversare il tempo come poche.

Sting è sempre stato un artista eclettico. Ha saputo attraversare il rock, il jazz, la world music, la canzone d’autore, senza mai perdere la propria identità. È uno di quei rari musicisti che non si accontentano mai. Che hanno il coraggio di cambiare rotta, di rimettersi in discussione, anche quando sarebbe più facile restare fermi. Direi che è un artista che rappresenta molto bene il New Classical World, di cui abbiamo parlato diverse volte nei precedenti articoli.

Un disco che non cerca il consenso, ma l’autenticità

E forse Sting 3.0 Live è proprio questo: un disco che non cerca il consenso, ma l’autenticità

Le recensioni parlano di un ritorno alle radici, di un suono più diretto. Qualcuno critica la batteria, qualcun altro esalta la pulizia dell’arrangiamento. Io ci ho trovato qualcosa che va oltre il giudizio tecnico: un invito a rallentare, ad ascoltare davvero.

A tornare dentro la musica come si entra in un racconto, senza sapere cosa succederà dopo. Un invito a fidarci di nuovo dell’artista.

E a uscire, almeno per un po’, dal recinto delle playlist “perfette”. Perché la musica — quella vera — non è mai perfetta. È viva. È imperfetta. È rischio.

E dentro quel rischio, a volte, si nasconde la bellezza.

Buona musica!

Condividi: