Noi non siamo mai morti
Noi non siamo mai nati

Un’anima antica è rientrata nei reami interiori, si è ricongiunta con l’Assoluto.
Il percorso del più originale cantautore (in senso molto lato) dei nostri tempi si è compiuto, lasciando dietro di sé tonnellate di ricordi, di momenti memorabili, di intuizioni geniali, di messaggi subliminali. A volte mascherati, a volte espliciti. Siamo noi, adesso, che dobbiamo trovare, aldilà dei ritornelli orecchiabili, aldilà dell’evidente rispetto che dobbiamo a un grande artista, il senso di quello che ha scritto, che ha cantato.

Franco Battiato è stato un rivoluzionario. Uno che è entrato nel campo del pop portando con sé un bagaglio di esperienze diversissime – dalla musica leggera anni 60 all’elettronica, dalla contemporanea all’etnica, dalla musica classica al rock duro e indie – riuscendo a crearne una sintesi alta, sofisticata e accessibile insieme, cantabile e a volte persino ballabile. Questi tappeti sonori, magici e volanti, ci hanno fatto planare su mondi lontanissimi, ci hanno fatto capire che la musica è una, è quella che nasce dall’incontro di radici e di realtà quotidiane fra le più disparate. Dall’occidente all’oriente, e tutto ciò che ci sta in mezzo.

Battiato diceva che la musica era la cosa importante, che i testi erano scritti di conseguenza, ma mica è vero. I testi di Franco sono un lascito prezioso, sui quali riflettere e cercare di vedere, aldilà dell’apparenza. Certo, molti sono collage di parole, alla cut&paste di Burroughs, che suonano bene, che fanno sorridere e lasciano farsi prendere in giro, ma occhio: è anche lo svelamento che il pop di massa non ha bisogno di contenuti soggettivi, di significati personali, può essere benissimo consumato per i suoi contenuti superficiali, in cui più persone possibili possono ritrovare un’identificazione non profonda, ma bellamente ludica.

Ma a parte che anche nelle citazioni più strambe ci sono dietro citazioni a 360°, fra le righe di quasi tutte le canzoni c’è ben altro. Senso civile, certo, Povera Patria è uno struggente lamento di perdita di etica e visione di una (parte di) nazione. La cura è una canzone d’amore e devozione totale altrettanto toccante, e rimane uno dei messaggi più puri, più confortanti, che siano mai stati messi in versi. Un balsamo per anime ferite.

Ma il vero tesoro che Battiato ci ha lasciato a piccole dosi a 33 giri per oltre 40 anni, e che adesso ci ritroviamo a poter valutare nel suo insieme, è una visione interiore. E’ il senso di una persona che ha fatto dell’evoluzione una missione. E’ l’aver fatto da interfaccia, da messaggero, fra l’esoterismo di cui è stato ricercatore e praticante e chi era pronto ad ascoltare. In mezzo ai nonsense e alle frasi più descrittive, ci sono perle di saggezza, gocce di spiritualità, essenza di misteri che solo i nomadi dello spirito hanno intuito, a volte conquistato. E’ quella la vera eredità. Sono messaggi di ispirazione, indicazioni e svelamenti per farci riflettere e crescere, per liberarci un po’ alla volta dell’animale che è in noi, per farci trovare l’alba dentro il nostro quotidiano imbrunire. Un mistico in cima alle classifiche, questo è un gioioso miracolo di questa epoca spesso senza luce.

Ciao Franco, non hai solo fatto della musica meravigliosa, hai toccato la nostra anima anche se la mente non lo sapeva, ed è questo il regalo più bello che qualsiasi persona, non solo artista, può fare per noi che rimaniamo.

PS. Attraversando il Bardo, ovvero il percorso dopo la morte, film che Franco ha prodotto sette anni fa, mi sembra la maniera migliore per ricordarlo: eccovi il film completo.

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