I Signori del pianeta ci ha definito in un saggio del 2017 Yuval Noah Harari, in ragione delle caratteristiche che ci contraddistinguono da tutte le altre specie che abitano la terra e ci fanno guadagnare, per certi aspetti, una posizione all’apice della catena evoluzionistica. Ma ci fa proprio così bene sentirci così tanto superiori a tutti gli altri esseri viventi? È proprio questa distanza che abbiamo messo tra noi e tutte le altre creature e in nome della quale ci siamo presi il diritto di predazione, a farci sentire bene? Appagati e felici?

Qualche legittimo dubbio comincia ad attraversare anche la mente di studiosi e di scienziati che con le loro importanti scoperte hanno consentito di ridurre questa distanza. Guardate di cosa sono capaci le api:

La capacità di cooperare per il raggiungimento di un fine comune non sembra, a quanto pare, una caratteristica esclusiva degli esseri umani, o di altre specie con un cervello complesso. Anche animali con un cervello miniaturizzato, come le api, possono essere in grado di compiere prodezze cognitive, come quella di imparare a discriminare quadri di Monet e di Picasso mai visti prima. Con un patrimonio di novecentosessantamila neuroni un’ape sa distinguere differenti volti umani e riesce a identificarli anche quando le si presentano ruotati di un certo angolo. Inoltre, sa categorizzare in maniera astratta stimoli come uguali e diversi indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche degli stimoli stessi. Le vespe cartonaie, in natura, apprendono spontaneamente a riconoscere le facce delle compagne e usano queste informazioni in un contesto sociale. Se vi interessa approfondire questo affascinante mondo delle api e di altri insetti vi consiglio di leggere il lavoro di Giorgio Vallortigara dal titolo Pensieri della mosca con la testa storta.

Potrebbe sembrare persino azzardato affermare che condividiamo qualcosa con tutti gli esseri viventi ma a ben vedere non lo è. Come esseri umani abbiamo la capacità di fare esperienze ontologicamente distinte da quelle degli altri animali, ossia esperienze in prima persona, ma in nome di questo principio non possiamo certamente cancellare la capacità di ogni essere vivente di fare esperienze, di interagire con l’ambiente, di avere una specifica forma di intelligenza.

Fare i conti con questi – e numerosi altri – dati, ci porta a ri-pensare alla nostra relazione con gli altri esseri viventi, a ri-pensare ai requisiti che ci siamo attribuiti nel considerarci principi del pianeta.

Come ci ricorda Vallortigara, l’esistenza di un minimo comune denominatore tra noi e le forme di vita più umili ci allontana una volta di più dal concetto cartesiano dell’animale-macchina, e solleva interrogativi etici ai quali non potremo a lungo sottrarci.

Gli umani?
Esseri viventi tra altri esseri viventi

La consapevolezza che il legame e la somiglianza con gli altri esseri viventi sono così profonde, insieme ad una significativa ricaduta sul piano dell’etica, contribuisce ad aumentare in modo significativo le potenzialità di tale relazione per i benefici di noi esseri umani. Tutto questo ci suggerisce che potrebbe essere molto vantaggioso per Homo Sapiens recuperare il proprio posto all’interno della natura, per dirla con le parole di Carl Safina nel suo libro Al di là delle parole. Che cosa provano e pensano gli animali (editore Adelphi), assumere una prospettiva in cui gli esseri umani non siano la misura di tutte le cose, ma una specie tra le altre specie. Una prospettiva che consenta di recuperare il legame con il mondo naturale, con gli altri esseri viventi e che ci accolga in un senso di appartenenza ben più ampio e più benefico di quello che ci fa sentire unici proprio perché staccati dal mondo naturale. Chiunque abbia attraversato un bosco, calpestato la sabbia del mare, ascoltato il rumore delle onde, sa che l’effetto di comunione con ciò che lo circonda, la sensazione di farne in qualche modo parte, consentono un appagamento e una pace talvolta di grande potenza. Così come chi abbia cercato e trovato forme di comunicazione con gli altri animali, apprezzando il linguaggio universale degli scambi emotivi, non può che esserne uscito arricchito

La natura ha una caratteristica davvero unica e speciale. Quando ci ridimensiona rendendoci parte di un tutto, quando ci distoglie dal nostro ego, ci offre un senso di appartenenza e di radicamento con immediati effetti benefici per il nostro stato emotivo. Significa capovolgere del tutto la scala di valori che plasmano la maggior parte delle società contemporanee, significa accogliere il senso del limite come un’opportunità e non come una rinuncia, significa sostituire il bisogno di superiorità con quel tesoro prezioso che solo la reciprocità può offrirci.

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