Quali sono stati i cambiamenti indotti dall’emergenza Covid? In che cosa la nostra vita e le nostre routine sono cambiate? Abbiamo per esempio adottato uno stile di vita più igienico? Oppure più rispettoso dell’ambiente e degli animali? In quale misura la tecnologia ci ha aiutato? E quanto abbiamo imparato, cioè quanto abbiamo sfruttato il tempo morto del lockdown e delle limitazioni per studiare, formarci acquisire nuove competenze? Quanto invece abbiamo perso, magari per sempre? Senza dubbio studiosi di ogni disciplina si sono occupati della tematica.

In pochissimi però si sono occupati dell’istruzione e della formazione a distanza e cioè del modo di insegnare ed apprendere che inevitabilmente grazie, o a causa, della pandemia da Covid ha dovuto cambiare per bypassare l’emergenza.

Finita l’emergenza però tante categorie di persone si sono rese conto che svolgere determinate attività a distanza era molto più vantaggioso rispetto al modo tradizionale in presenza. Perchè più vantaggioso? Perchè per esempio nel caso degli studenti universitari vengono a cadere i costi di viaggio, alloggio e vettovagliamento – il che non è affatto di poco peso, considerando la crisi economica susseguente alla pandemia e alla riduzione della ricchezza di una larga fetta di popolazione.

Per gli studenti universitari che lavorano, poi, il vantaggio è che si possono seguire le lezioni in differita. Pensiamo a quelle persone, in prevalenza di sesso femminile, che hanno bambini molto piccoli per cui l’esigenza di cura (pensiamo solo all’allattamento) impone ritmi e riti dissonanti da quelli degli adulti in generale.

Oppure pensiamo a chi ha doveri di cura imposti dalla condizione di un familiare stretto che è non autosufficiente, per cui è un caregiver familiare e se lo è h24 non si può proprio muovere da casa. Pensiamo infine alle persone con disabilità, la categoria sempre discriminata a prescindere, a causa delle infinite barriere, non solo architettoniche ma anche sensoriali e cognitive per tacer poi dei vari pericoli di tipo sanitario e per finire con gli eternamente irrisolti problemi di fondi per cui, magari, un ateneo taglia il servizio di tutoring così prezioso per questa categoria di studenti.

Se nessuno, tra studiosi, accademici, politici, giornalisti si è occupato della questione, un manipolo di coraggiosi studenti dell’ateneo di Torino, capitanati da Irene Lugano ha fondato un gruppo informale, nella primavera del 2020 e molto velocemente ha coagulato attorno a sè rappresentanti di ogni ateneo italiano, originando un movimento a livello nazionale.

Il movimento sorto da questa aggregazione si chiama Unidad e ha uno statuto e si ritrova su Fb nel gruppo omonimo di oltre 13.000 iscritti.

Le azioni prodotte
dal movimento Unidad

Lettere ai rettori, a tutti i rettori italiani che sono 90, lettere alla ministro Messa, e poi c’è una raccolta firme nazionale che ha raggiunto quasi 15.000 sottoscrizioni, oltre a petizioni locali (per esempio quella di Unidad Verona che ha oltrepassato le 1500 firme in pochissimi giorni) e manifestazioni davanti aipalazzi delle università.

Le risposte dai rettori o dagli apici universitari – senza contare anche il feedback dalle associazioni studentesche più attive che, magari, hanno posto anche nei consigli studenteschi degli atenei, non ci sono state, e anzi è emersa tutta l’antipatia se non la demonizzazione della didattica a distanza – e di conseguenza anche del modo di acquisire la conoscenza e le competenze nel nostro Paese.

Stranamente, perchè ormai facciamo tutto online grazie al dispostivo che ciascuno ormai, anche minori, anche nei paesi meno abbienti, possiede e cioè il cellullare o hi-phone che dir si voglia o tablet. Facciamo mille cose digitali e tutta la nostra vita è cambiata e profondamente condizionata dal digitale. Eppure il mondo dell’università che è il grado più aulico dell’istruzione o non si è posto il problema della trasformazione della didattica e della fruizione di tale didattica, oppure oppone una totale resistenza all’innovazione tecnologica.

Tuttavia questo movimento di studenti non chiede di eliminare la didattica in presenza, ma di affiancare la dad, ovvero la didattica a distanza, per permettere a tutti gli studenti di effettuare il loro percorso accademico.

Tutte le categorie che ho elencato più sopra con la didattica tradizionale vanno automaticamente fuoricorso – e quanto costa, quindi, laurearsi? Sarebbe interessante avere l’opinione dell’Onorevole Vittorio Colao, a capo del Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale.

Oppure sarebbe interessante andarsi a leggere cosa prevede l’agenda 2030 dell’Onu: al punto 4.3 dei traguardi auspicati all’obiettivo 4 (fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti ) troviamo: “Garantire entro il 2030 ad ogni donna e uomo un accesso equo ad un’istruzione tecnica, professionale e terziaria – anche universitaria – che sia economicamente vantaggiosa e di qualità”.

Nell’attesa di sentire le risposte dei rettori e dei ministri, consiglio, a mo’ di rito augurale, la lettura dei contributi scritti sull’argomento da Giulia Iacovelli e Ida Rumiati, la prima membro della Commissione esteri del Consiglio Nazionale dei Giovani e del programma University Fellows di Aspen Institute Itali, la seconda professoressa di Neuroscienze Cognitive e coordinatrice del Ph.D. in Neuroscienze Cognitive della SISSA di Trieste.

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