Signore e signori non so se siete lettori o lettrici che hanno scelto consapevolmente la lettura di questo articolo. State leggendo uno dei tanti scritti che parla di teatro, quindi non voglio ammorbarvi con tecnicismi e specifiche del settore teatrale, non ne sarei capace perché sono un contadino, geometra, marinaio imbarcato su un Pattugliatore d’Altura, cameriere, nonché commesso in un negozio di scarpe a Fontana di Trevi. Ma sono anche un drammaturgo, uno che racconta storie più o meno inventate.

Guardo la gente che cammina, vedo che relazione ha con gli altri e con le cose, ascolto discorsi e me li stampo a mente oppure li copio su un’agendina tascabile, e poi ci costruisco sopra le storie, le faccio diventare battute, creo relazioni, tensioni e attrazioni.

Un essere umano in carne ossa e spirito, dopo averlo/a impastato/a con i mei ricordi e con le mie paure, con le mie parole immaginate e discorsi ipotetici, diventa personaggio delle mie drammaturgie.  

Spesso ci sono persone che ricoprono ruoli di potere, cioè che decidono la sorte di molte altre persone, e non hanno ottenuto quel posto per meriti ma per occulte ragioni; queste persone sono talmente assurde che si trovano nella realtà ma difficilmente riesci a riprodurle in Teatro… mi spiego meglio: se mettessimo in scena alcune di queste persone, distinte per la loro incapacità, risulterebbero talmente finte da sembrare personaggi mal riusciti.

A proposito di ruoli mal riusciti, nei giorni scorsi è stato comunicato dal Governo (ormai dimesso), con una infelice disattenzione per la Cultura, la riapertura delle palestre e delle piscine, mentre per il nostro settore spettacolo nessuna notizia. Quello che sicuramente dovremmo fare è evitare di metterci in guerra o in ostile confronto con gli altri settori lavorativi, che come noi hanno avuto tante perdite, ma certo è che stiamo avendo una triste conferma che la cultura in Italia non è un bene primario, nonostante la riapertura di palestre e piscine, si sono dimenticati il vecchio proverbio latino: mens sana in corpore sano

Adesso, inoltre è venuta fuori la questione Sanremo sì, Sanremo no e il Ministro Franceschini, presagendo la milionata di polemiche che avrebbe ricevuto, comunica che L’Ariston di Sanremo rimarrà chiuso perché è un Teatro come tutti gli altri; essendo tutti chiusi, pure sua maestà Ariston (il più famoso al mondo dopo il Teatro La Scala e il Piccolo Teatro di Milano).

La questione è spinosa perché Sanremo è il Festival per eccellenza, va in onda in Mondovisione, è un festival televisivo ma, nato per la radio, si svolge in un Teatro.

Il Dio del Teatro è davvero biricchino, non si piega alle nostre paure e ai nostri miseri giochi: agisce per svelare la nostra falsa coscienza e in questo caso fa in modo che ci si interroghi se è giusto riaprire i teatri perché c’è un evento milionario che muove gli interessi di moltissime persone e moltissimi enti non teatrali.  

Cosa accadrà?

Mi aspetto che si garantisca il rispetto e la dignità della nostra professione e che, dopo aver aiutato chi ha perso i propri cari e ha sofferto il dolore della morte, si pensi anche al Teatro e allo Spettacolo come ad una risorsa per la rinascita culturale e sociale del nostro paese, insieme alla Scuola, e a tutte le altre arti.

Forse il caso Sanremo può dare uno spunto di riflessione che potrebbe andare al di là della messa in scena dello show, ma che potrebbe farci riflettere sui meccanismi fallimentari che ci hanno portato a questo punto. Il problema non è tanto che sia apra o meno l’Ariston, ma come mai, nonostante sia stato certificato dall’Agis che su 350.000 spettatori, da giugno a ottobre del 2020, ci sia stato un solo caso di  contagio Covid, e nonostante questi dati, confutati dalle dichiarazioni USL locali di tremila eventi presi come studio per la sicurezza dei luoghi di cultura, il Governo abbia chiuso senza un confronto e senza considerare un’apertura controllata da rigidi protocolli sanitari, che già avevamo attuato con successo. 

È la stessa storia del banco mono posto a scuola: spesi milioni e milioni perchè il banco monoposto avrebbe creato l’isolamento fisico dell’allievo e avrebbe consentito lo svolgimento delle lezioni in presenza… invece la scuola è stata chiusa.
Idem per i teatri: acquisto di materiali vari, plexiglas, divisioni di poltrone, file, biglietti nominali e mille altre procedure ma il risultato è stato lo stesso, con l’aggravante che ancora non ce ne si occupa; dunque, se Sanremo può scatenare una discussione etica sulla chiusura dei luoghi di cultura, di spettacolo, che ben venga, e viva Sanremo!

I teatri sono stati i primi a chiudere e saranno gli ultimi a riaprire, e quasi quasi nessuno se ne accorge, tranne i diretti interessati.

Le domande che noi teatranti dovremmo porci sono tante e sicuramente andrebbero cambiate le logiche di questo sistema che ha fatto morire i talenti più belli degli ultimi anni, basti pensare alla logica degli scambi degli spettacoli (e dei favori) tra i Teatri Stabili oppure basti pensare che per ottenere finanziamenti statali bisogna arrivare ad un bilancio pari a zero o addirittura in rosso.  

Ultimamente ascolto con attenzione il dibattito sulla riapertura dei teatri e devo dire che la maggior parte della gente, anche quella più competente, si limita a dire che serve perché i lavoratori dello spettacolo sono lavoratori come tutti (è vero!) e che serve per far ripartire un’economia che tocca circa un milione e mezzo di persone (è vero!). Solo alcuni, i più illuminati, sostengono che bisogna aprire i teatri perché sono un luogo di socializzazione (vero pure questo!), ma pochissimi, nessun politico tra questi e nessun dirigente, dice che il teatro è un luogo che serve per renderti libero, per generare pensiero, scatenare risate, far scorrere lacrime, soffocare  singhiozzi, trattenere spasmi di divertimento.

Nessuno lo dice perché nessuno ha il coraggio di dire che è un luogo pericoloso, come pericoloso è andare a scuola (che potrebbe dare la possibilità di non essere schiavi), pericoloso come andare al cimitero (potrebbe far ricordare tutte le volte che siamo state persone distratte, che non siamo stati buoni figli, buoni nipoti, buoni compagni), o pericoloso come tutte le attività umane che abbiamo inventato per mitigare la nostra natura violenta e convogliare tutto nella creatività benefica della scienza e delle arti.

Eppure la soluzione sarebbe rapportarsi al teatro come ad un’attività nobilitante, ma se non ci sono le rivoluzioni da parte della gente vuol dire che non c’è una reale mancanza, forse manca più a noi professionisti del settore e a pochi altri.  

Io spero nel futuro e nel buon cuore della gente, che c’è nel mio settore professionale! Ci sono le brave persone, le persone competenti e che hanno testa e anima per fare teatro. Ecco perché andavo a Teatro.  

Diverse compagnie, in molti teatri, stanno provando spettacoli che debutteranno appena si potrà,  e qualche settimana fa alcuni colleghi mi hanno invitato a vedere una loro prova.

Mi sono seduto nel silenzio di quel luogo vuoto, mi sono rannicchiato sulla poltrona rossa, ho appoggiato la testa al sedile, ho chiuso gli occhi e ho puntato naso, bocca e occhi chiusi al soffitto. Ho inspirato l’aria della platea e ho sentito quell’odore tipico dei teatri. Ho immaginato le voci della gente che per tante volte aveva riempito quello spazio e ho pensato ad una cosa che mi ha fatto sorridere: se fossi stato in una vera platea piena di gente, mai mi sarei messo in quella posizione.

Ho sentito di appartenere a quel tempo, fermo, silenzioso, a quel rito nascosto nell’assoluta solitudine, mentre sotto i miei piedi sentivo tremare al passaggio della metropolitana (i milanesi hanno capito dove mi trovavo). Ho aperto gli occhi ed ero al buio e la prova stava per iniziare. Entrano le attrici e gli  attori e iniziano a recitare. Non ci credevo che stava succedendo, dopo quasi un anno ero ritornato a fare lo spettatore. Ed era bello. Sono stato lì a pesare ogni parola, ogni movimento, ogni respiro io lo sentivo moltiplicato per cento. Ero preso da una strana sensazione di onnipotenza, come se in quel momento non avessi paura della morte o del tempo che passa. Non ho pianto, non ho avuto grandi sconvolgimenti interiori in quelle due ore di spettacolo, ma appena hanno finito ed ho applaudito, ho ricordato il motivo per cui andavo a Teatro. Perché mi sentivo vivo. Ecco a cosa serve un teatro.

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