Dal 23 Aprile giunge sulle piattaforme Sky e Now TV la miniserie Anna creata, scritta e diretta da Niccolò Ammaniti. In sei puntate, si ispira al romanzo Anna del 2015 composto dallo scrittore e sceneggiato insieme a Francesca Manieri.Non è la prima volta che i romanzi dello scrittore romano vengono trasposti sulla celluloide, ricordiamo Io non ho paura e Come Dio Comanda entrambi per la regia di Gabriele Salvatores.

Questa volta Ammaniti si mette dietro la macchina da presa e sviluppa il suo romanzo di sei anni fa offrendo nuove direzioni e sviluppi inediti come ricordato in recenti interviste. Girato sei mesi prima dell’inizio della pandemia del Covid 19, la serie è ambientata in una Sicilia post Covid in cui un virus “La Rossa” ha decimato gli adulti ma ha lasciato indenni i bambini che si ammalano solo al giungere della pubertà. In questa situazione distopica seguiamo le avventure di Anna e del suo fratellino Astor nel tentativo di sopravvivere in una realtà oramai completamente incontrollata in cui si scontrano le solitudini dei singoli e la banda dei bambini “Blu” capitanata da Angelica e dalla sua cricca che si dipinge il viso di bianco per non rivelare i primi segni della malattia.

Al di là della curiosa preveggenza, in tempi non sospetti, dell’attuale pandemia, l’espediente dello scrittore però era quello di ricreare una situazione in cui i bambini fossero soli senza la guida dei genitori. Le prime due puntate hanno un ritmo lento e pacato che ci introduce con diversi flashback all’inizio della malattia, in cui i due protagonisti tentano di seguire le indicazioni lasciate dalla madre servendosi di un manoscritto denominato “Il libro della cose importanti”; i successivi episodi ci offrono tutta la capacità immaginifica e il terrore di un mondo in cui ogni regola è stata deviata.

I fanciulli imberbi, seguendo il solo principio di piacere freudiano, senza più punti di riferimento, lasciano fluire una violenza verbale e di condotta che ci fa riflettere e scuote la nostra visione edulcorata dell’infanzia. Ad Ammaniti interessa far circolare su pellicola diversi aspetti e problematiche: la solitudine dei bambini d’oggi, la latitanza della figura genitoriale e quindi la ricerca di un punto di riferimento che diventa inevitabilmente la società dello spettacolo (che propina modelli devianti slegati dalla realtà). Se dal punto di vista dei contenuti gli spunti e le suggestioni sono molteplici per la messa in scena lo scrittore romano elabora un linguaggio onirico che affida ad immagini iconiche di forte impatto (la corsa dei bambini nel palazzo abbandonato ricoperto da stracci e vestiti, il rito iniziatico dei nuovi adepti che devono passare in diverse contenitori colmi di vernice blu). Più che voler porre l’accento sulla velocità e l’intrigo notiamo una voglia inconsueta di intimismo e di “rispetto” verso i tempi emotivi dei protagonisti.

Per queste caratteristiche inconsuete Ammaniti confeziona un prodotto che, pur riprendendo diverse influenze dalle serie d’oltreoceano, approfondisce un discorso di indubbia originalità rallentando la temporalità dell’intreccio per sondare con maggior lentezza le psicologie dei protagonisti. In filigrana ritroviamo altri riferimenti letterari (Il Signore delle Mosche di Golding) e con molta probabilità La Morfologia della fiaba di Vladimir Propp: in fondo Anna è un racconto fiabesco (ne rispetta tutti i canoni) rivolto agli adulti.

Il lavoro di Ammaniti è ben realizzato, con una decisa attenzione alla psicologia di tutti i protagonisti, e una macchina da presa che si fa “sentire” nei momenti cruciali manifestando cosi lo stile del regista. Da segnalare le location, affascinanti e desolanti allo stesso tempo, che ci raccontano una Sicilia insolita. 

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