Bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l’ebano. Biancaneve, insieme a Cenerentola, è a mio parere il capolavoro dei fratelli Grimm, e la sua fama che profuma di eternità ne è la prova. 

Questa volta però, la vera protagonista della storia è la sua antagonista, la perfida regina. Come un ago che penetra le superfici per giungere direttamente al cuore, i Grimm raccontano in una semplice fiaba cosa avviene nell’animo di ogni essere umano, quando lascia abitare nel suo cuore il sentimento dell’invidia.

Al giorno d’oggi ci si vanta ormai di tutto, si giustifica qualsiasi sentimento negativo o positivo, l’importante è che si senta qualcosa. Ma l’invidia no, non ha seguaci fieri di provarla. È troppo vergognoso come sentimento. È da deboli. Ogni cosa però nel mondo ci spinge a provarla. Viviamo di confronti continui: dai più lontani, con idoli a noi sconosciuti, ai più vicini, con le persone che amiamo. Tutto è un paragone, tutto fa da specchio alle nostre miserie, alle nostre debolezze. La sfida è dunque questa: eliminare gli specchi o guarire noi. 

La storia di Biancaneve racconta proprio questo sentimento così violento e accecante, sfidandoci a riconoscerlo in noi stessi, a nominarlo e a vincerlo. L’unica alternativa a questa vittoria, per i Grimm, è il finale della regina: tutto tranne che lieto. La condizione che pongono i celebri fratelli è un po’ troppo drastica per i nostri tempi così saturi di sentimentalismi. Ma è questa la bellezza di un genere letterario come le fiabe: ti mettono davanti la verità senza troppi giri di parole, e se qualcuno osa giudicarle perché troppo crude o radicali, vuol dire che non ha saputo cogliere la loro sfida. 

Ma veniamo al dunque. L’intera struttura di questa fiaba gira intorno ai tumulti interiori della regina. Essi si esprimono in un dialogo continuo con uno specchio che invece di mostrare la sua bellezza le mostra quella di un’altra. Si tratta dunque di uno specchio particolare che ricorda un po’ quello che ognuno di noi crea dentro di sé, pronto a generare continui confronti dolorosi da cui è sempre più difficile uscire. 

La fragile regina è un personaggio cattivo, prigioniero della sua gelosia accecante che tenta in tutti i modi di togliersi con forza, cercando di eliminare ogni elemento esterno che la provochi. I suoi tentativi sono inutili perché inutile è provare a levarsi di dosso un sentimento, come fosse un vestito. Tutto quello che entra nel nostro cuore è perché lo vogliamo noi, siamo noi ad accoglierlo. Non ne riconosciamo il male ma lo vediamo come un pensiero di giustizia: è giusto che io desideri essere la più bella, la più brava, la migliore. Ed è giusto dunque utilizzare ogni mezzo per raggiungere questo fine. Ma purtroppo, così facendo, più che amarci finiamo per odiarci, per farci del male. Come la regina fragile, che pur di eliminare Biancaneve è disposta a morire lei. Finiamo per creare dentro di noi quel terribile specchio, che invece di mostrarci la verità della nostra bellezza ci mostra solo la verità dei nostri fallimenti, spingendoci ad un confronto continuo e lacerante. Non è sbagliato desiderare di eccellere in qualcosa ma il problema sorge quando poniamo questo come un fine. I grandi artisti, i geni indiscussi, hanno eccelso perché liberi da scopi o fini, erano ricercatori di senso, di verità, non di gloria. 

I fratelli Grimm, mai come in questa fiaba, si soffermano su quello che un personaggio prova, su quello che avviene nel suo cuore e che lo spinge ad agire. Le azioni della regina non sono libere, ma sono tentativi disperati per raggiungere finalmente una pace. Lei deve uccidere, perché se «non è la più bella in tutto il paese, l’invidia non le dà requie». La pace della regina è fragile e ha i minuti contati perché fonda il suo senso di esistere in un primato, un qualcosa senza corpo. Non lo cerca in qualcuno. Così facendo finisce per vedere l’altro non come una salvezza ma come una condanna. La sua punizione è vedere Biancaneve che corona la sua bellezza in un matrimonio. Non le resta altra pace che la morte: così non deve più assistere al suo fallimento. 

Il desiderio dunque è di trovare pace da un dolore continuo. Ma come si fa? Come possiamo guarire da questo male che non ci rende liberi? La paura del fallimento, la perdita di senso nella nostra vita perché non è stato raggiunto alcun primato, l’ossessione per la gloria al punto da vedere ogni debolezza una minaccia. Chi più e chi meno, tutti almeno una volta nella vita hanno dovuto lottare contro questo sentimento. C’è chi ancora sta cercando di eliminarlo nel modo più rapido e silenzioso possibile, vergognandosi terribilmente di averlo provato. Chi ancora non lo riconosce e lo confonde con un giusto amor proprio, tanto giusto da trasformarsi in odio al primo errore. E poi ci sono gli esseri misteriosamente liberi, non più cattivi, non più imprigionati. Qual è il loro segreto? 

Hanno accettato la loro realtà. Hanno accettato di essere i cattivi di se stessi, di essere i primi a farsi del male. E poi si son chiesti il perché. Il motivo è il sentirsi sbagliati davanti alla bellezza dell’altro. Una bellezza perfetta, divina, irraggiungibile, che non lascia spazio ad alcuno di esistere. Una bellezza che ti fa pensare: se lei esiste, io non posso esistere. Ecco che il piccolo seme dell’invidia si genera nel cuore, accecandolo. Chi invidia spesso non si conosce, non ha scoperto ancora la sua unicità così indispensabile al mondo. Cerca di assomigliare a chi magari è sbocciato prima, a chi ha un fascino più manifesto, e non riuscendoci si dispera. Ma ogni fiore che nasce, dal più piccolo al più grande, contribuisce a generare incanto nel mondo. Il punto non è dunque cercare di essere i più belli ma sapere di essere unici. C’è qualcuno nel mondo pronto ad amarci così come siamo. Sta a noi scegliere se permetterglielo o no. Sta a noi decidere di lasciarci amare, cessando di costruire specchi e iniziando a creare legami. 

Aprendoci all’altro, scopriremo che anche lui ha le nostre stesse lotte nel cuore, magari anche nei nostri confronti. Non c’è regalo più bello in amore che donare all’altro le nostre povertà, scoprendoci simili nei nostri limiti e bisognosi come tutti di essere amati per guarire. D’altronde il vero amore si sa, non è roba per gente giusta o sana. È per chi si riconosce prigioniero di se stesso e vuole essere liberato. Lasciamoci quindi guarire dall’amore, accarezziamo con dolcezza i nostri limiti senza vergognarcene. Solo così il nostro cuore è finalmente in pace. La stessa che un cuore invidioso non potrà mai trovare, se continuerà a cercarla tra i primati anziché tra le persone. 

(Illustrazione di Hermine de Clauzade)

Versione della fiaba consigliata: J. e W. Grimm, Biancaneve, in Fiabetrad. it. C. Bovero, Einaudi, 2015.

Film consigliato per gli amanti dei capolavori Disney (primo film d’animazione statunitense): Biancaneve e i sette nani (1937), diretto da David Hand, prodotto da Walt Disney.

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