Se l’arte classica celebrava il corpo ideale, l’arte contemporanea è un campo aperto in cui la diversità e l’unicità delle esperienze umane arriva a farsi visione, anche laddove nella società i meccanismi di marginalizzazione delle soggettività non conformi restano ancora da abbattere.

L’arte e i soggetti

Almeno dalla fine dell’Ottocento in poi, racconta la nostra blogger Giulia Sargenti, l’arte non solo ha tematizzato realtà come la vecchiaia e la malattia, ma ha dato risonanza ad artist3 che vivevano e vivono in prima persona condizioni che nel linguaggio e nella cultura dominante sono tuttora associate ad uno stigma, all’incapacità di esprimersi e di essere pienamente soggetti.

Non solo grandi nomi della storia dell’arte come Henri Matisse e Frida Kahlo, ma anche giovani dalla carriera folgorante (e purtroppo precocemente interrotta) come Matthew Wong, o la pittrice affetta da distrofia muscolare che ritrae sé stessa con naturalezza quasi spudorata, mette la sua verità esistenziale di fronte al nostro disagio di persone aggrappate a un’idea di soggetto normale sempre più discutibile.

Il corpo possiede una forza espressiva che non viene annientata dalla malattia, come mostra l’opera recente di un’artista dall’arco creativo pluridecennale come Tracey Emin che ha scelto di raccontarsi in un ciclo di quadri dopo aver affrontato un tumore, riprendendo un elemento che l’ha resa famosa negli anni Novanta – il letto, luogo dell’intimità e del desiderio – e legandolo all’elaborazione del dolore e della riconciliazione con un passato difficile.

E proprio in questi anni a Roma è nata una realtà innovativa come l’atelier-galleria Ultrablu, con la sua mission di dare visibilità al lavoro di artist3 neurodivergenti, ma senza alcun corollario terapeutico che possa in qualche modo circoscriverne e relativizzarne il valore in quanto arte. Se di terapia si può parlare, osserva Giulia, questa è rivolta a chi guarda e alla società nel suo insieme. Per citare la dichiarazione di intenti di Ultrablu, è arte che invita a concepire il margine come

“una soglia che può essere attraversata in entrambe le direzioni”.

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