Un documentario sugli animali urbani

Straying Home è un documentario che parla degli animali che vivono nei contesti urbani. Se l’animalismo tradizionale concentra molte delle sue attenzioni sulla tutela degli animali cosiddetti “d’affezione”, come i cani e i gatti, l’antispecismo cerca di puntare i riflettori su quelli sfruttati dall’industria della carne, della pelliccia o dell’intrattenimento, e talvolta sui selvatici.
Esiste però una vasta categoria di soggetti non umani che non si collocano in questi insiemi: piccioni, topi, gatti, ma anche cani che non hanno un “proprietario”.

A ben vedere, non si tratta di un semplice documentario. Il sottotitolo, infatti, recita “A film essay with urban animals“: un film-saggio. Un’opera in cui si mescolano riprese effettuate in Romania, animazioni, voci umane e non umane, testi di taglio sociologico, filosofico, politico.

Straying Home è prodotto da Just Wondering, un collettivo autonomo rumeno che elabora saggi animati, composto da Aron Nor, Mina Mimosa e Maria Martelli, che sono rispettivamente regista-autore, illustratrice, sceneggiatrice, cui si aggiungono le musiche di Teo Retegan. Il collettivo lavora sui temi dell’antispecismo, del posthuman, della giustizia ambientale.

Una popolazione invisibile

un'immagine da Straying Home: un piccione sul marciapiede di fianco a due umani di cui vediamo solo le scarpe e le caviglie

Straying Home è un documentario che parla degli animali che vivono nei contesti urbani. Ma non si limita a parlarne, certamente non nel modo in cui siamo abituati. Straying Home propone uno sguardo decentrato, non antropocentrico, che decostruisce la narrazione dominante. Uno sguardo dal basso: anche in senso letterale, se consideriamo che buona parte delle riprese riportano il punto di vista di chi cammina per terra, negli anfratti, ai margini. Per ribaltare la narrazione, il film indaga sui caratteri principali di questa narrazione e sui suoi effetti.

Molte di queste specie oscillano fra l’invisibilizzazione e la sovraesposizione come “nemici pubblici”. I piccioni sono un caso evidente: vittime di fobie sociali e di ostilità diffusa all’interno di città in cui l’architettura stessa sembra fatta per escluderli. Ma non sono soltanto vittime. I piccioni – così come numerosi altri uccelli, così come i gatti – trovano il proprio spazio nel margine, negli interstizi delle città “a misura d’uomo”. Mostrano, a chi sa vedere, una capacità di adattamento, un’inventiva e una caparbietà che potremmo chiamare autodeterminazione. Per questo, il vocabolario asettico delle scienze naturali va forzato. Piuttosto che di animali sinantropici si dovrebbe parlare, seguendo la proposta di Sue Donaldson e Will Kymlicka, di “animali liminali”. Insomma, abitanti a pieno titolo dello spazio urbano, soggetti le cui esigenze devono essere prese in considerazione.

Contro il decoro

Un'immagine di Straying Home: nella grafica in bianco e nero si vede un ratto in mezzo ad alcune foglie.

Straying Home è un documentario che parla degli animali che vivono nei contesti urbani, ma lo sfondo ci dice molto anche sulle relazioni fra umani. La visione della città come spazio in cui l’accesso è consentito in maniera differenziale ci ricorda che esistono precisi criteri per stabilire chi, quando e come può attraversare lo spazio. Lo spazio urbano è innervato da gerarchie di genere, di razza, di abilità. Per fare un esempio, le città occidentali sono accoglienti per il soggetto considerato neurotipico, mentre risultano spesso respingenti per chi è neurodivergente. Movimenti dalla storia più consolidata di quello antispecista hanno da tempo studiato in modo critico i criteri di accessibilità dello spazio. In questo senso, gli studi femministi e queer sono certamente emblematici.

Questo tipo di discorso è inevitabilmente sfociato nella critica a uno degli apparati retorici più in voga negli ultimi anni: la coppia decoro / degrado. La narrazione delle destre (e non solo) calca la mano da tempo sull’idea che esistano corpi e comportamenti decorosi e indecorosi. Tale retoriche si riflettono poi nella percezione diffusa, nella narrazione mediatica, nell’architettura, spesso pensata per includere ed escludere determinati soggetti, anche in modo violento. Non può sfuggire che le panchine “anti-clochard” diffuse in molte metropoli sono dispositivi assai simili a quelli “anti-piccione”.

Ma, soprattutto, gli esiti riguardano l’ambito legislativo, con le leggi sulla sicurezza e il daspo urbano ormai sdoganato come pratica per espellere i soggetti non conformi dal centro ai margini. Nell’ambito dei soggetti non umani, la campagna Stop Casteller ha saputo sollevare la questione, in Italia, mostrando come il trattamento riservato agli orsi trentini segua le stesse logiche delle politiche sui migranti e, in genere, sui soggetti considerati “problematici”.

Un'immagine da Straying Home: un cane nero su sfondo grigio guarda fuori  campo verso sinistra.

La questione animale, come campo di interesse, ha comunque approcciato il tema, e Straying Home ne dà conto prendendo le mosse da alcuni filoni particolarmente promettenti.
Uno è quello della resistenza animale, che da qualche anno riesce a restituire ai non umani quell’agentività che gli stessi movimenti animalisti hanno loro negato per lungo tempo. Per questo, è possibile osservare con occhi differenti fenomeni come il randagismo, che non a caso l’animalismo tradizionale definiva una “piaga”. Al contrario, il fenomeno può essere visto anche – sebbene non sempre – con uno sguardo autenticamente decoloniale e non vittimista, in cui i cani appaiono come attori indipendenti in cerca di libertà, lontani dall’umano o in un rapporto liberamente scelto con la comunità.

Coesistenza multispecie

Un'immagine da Straying Home: due gatti bianchi e neri si rilassano contro un muro.

Il secondo punto di riferimento è l’elaborazione teorica della sociologa e filosofa antispecista Eva Meijer, che offre strumenti particolarmente originali per mettere a tema l’idea di una convivenza fra le specie basata sul reciproco ascolto. Il punto di partenza è l’affermazione dell’esistenza di una voce animale, laddove il senso comune e l’ideologia specista attribuiscono al solo animale umano la parola. Al contrario, in questa cornice di riferimento, i non umani esprimono i propri bisogni, la propria progettualità, e lo fanno in un senso eminentemente politico, legato cioè alle modalità di convivenza nello spazio comune.

Altri animali parlano e agiscono politicamente. Possiedono i propri percorsi per esprimere e creare significato, sia individualmente che collettivamente, attraverso diverse modalità di essere nel mondo. Se prestiamo attenzione, possiamo notare che molti dei nostri vicini non umani contestano effettivamente i torti subiti. Ma lo fanno in modi che non sono riconosciuti come legittimi. Certamente, non usano le parole per rendere visibile la loro posizione nel discorso politico egemonico, ma non sono esseri passivi influenzati dallo sviluppo umano. Gli animali urbani sfidano il modo in cui gli spazi che condividiamo sono governati ignorando specifici accordi. Votano con i piedi quando affrontano ostilità o condizioni avverse e protestano contro gli ordini umani occupando fisicamente luoghi diversi. E se le loro opinioni vengono costantemente calpestate, potrebbero ricorrere ai denti! In ogni caso, una cosa è certa: si oppongono ai danni che vengono loro inflitti. E si oppongono alle rivendicazioni antropocentriche di proprietà esclusiva umana del territorio.

Straying Home

Non è un caso che, per comprendere la vita animale negli interstizi delle città umane, Just Wondering utilizzi strumenti molteplici. Molti passaggi dell’opera, per esempio, lasciano che le immagini dei gatti nelle strade parlino da sé. Emergono frammenti di vita lenta, improduttiva, che ci insegnano valori radicalmente altri rispetto alla produttività capitalista, rispetto al dominio neuronormativo che Robert Chapman ha chiamato “l’impero della normalità”. Ci mostrano anche che, in una società specista, esistono già relazioni interspecie improntate, almeno in parte, alla gratuità e alla convivialità. Si tratta di relazioni invisibilizzate in cui gli attori, umani e non, sono tutti in grado di prendere l’iniziativa e di far valere i propri desideri.

Come creare, dunque, una comunità multispecie realmente orizzontale? Come costruire un’assemblea multispecie, in cui tutte le istanze, espresse con infinite modalità, hanno un significato politico? La sfida aperta da Straying Home non è semplice, e ha a che fare tanto con la decostruzione di una narrazione suprematista, quanto con il superamento di modelli di società e di democrazia antropocentrici e capitalisti. Ma è una sfida che parte dal margine per arrivare al centro delle cose, una sfida che dobbiamo raccogliere se crediamo nella giustizia e nella convivenza multispecie.

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