In occasione della Giornata della Memoria 2023 è stato presentato il progetto L’Università di Roma e le leggi razziali del 1938. Il portale, ora disponibile online, ha lo scopo di rendere consultabili i documenti relativi agli effetti delle leggi razziali sugli studenti e sui docenti dell’Università di Roma.

Tra le varie forme di discriminazione introdotte dalle leggi razziali ci furono, infatti, anche quelle relative al mondo dell’istruzione. Il 5 settembre 1938 venne pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Regio decreto-legge n. 1390, relativo a Provvedimenti per la difesa nella razza nella scuola fascista, il quale prevedeva il divieto per gli ebrei di ricoprire ruoli di docenza universitaria. La legge aveva effetto retroattivo, oltre a vietare l’accesso ai nuovi concorsi, comportava la sospensione dall’insegnamento dei docenti già in attività.

Lo stesso decreto vietava l’iscrizione agli istituti universitari a studenti di razza ebraica, con una deroga per coloro che avevano già iniziato il percorso di studi (norma che permetterà a Primo Levi di completare il suo percorso universitario, pur con le difficoltà di trovare un relatore).

Escludere dall’istruzione
per ridurre al servilismo

L’esclusione dall’istruzione fu una strategia appositamente pensata dal fascismo per non far raggiungere agli ebrei posizioni lavorative di prestigio, per relegarli nella sfera del servilismo e dello svilimento morale. Privare una persona dell’istruzione vuol dire prima di tutto toglierle la possibilità di costruirsi gli strumenti con i quali esprimere la propria coscienza morale e il proprio dissenso.

Il progetto L’Università di Roma e le leggi razziali del 1938 ci riporta a quel contesto, attraverso la digitalizzazione di molti documenti conservati presso l’Archivio Storico della Sapienza e altri archivi. La banca dati si presenta come uno strumento di memoria, che ci consente di toccare con mano la freddezza con la quale certe norme brutali furono applicate perfino nel luogo che più di tutti avrebbe dovuto garantire la libertà.

L’Università di Roma, come gli altri organi statali, era all’epoca fascistizzata e rappresentava, in qualità di maggiore università italiana, un vanto per il regime. Fin dal 1931 a tutti i docenti universitari italiani era stato imposto di giurare fedeltà al Partito Fascista, pena la perdita della cattedra. Tra i docenti della Sapienza scelsero di non prestare giuramento Ernesto Buonaiuti (Storia del Cristianesimo), Gaetano De Sanctis (Storia antica), Antonio De Viti De Marco (Scienza delle finanze), Giorgio Levi Della Vida (Lingue semitiche) e Vito Volterra (Fisica). In tutto, in Italia, solamente diciotto docenti universitari fecero questa scelta.

Nel 1938 la graduale politica di fascistizzazione delle istituzioni e degli intellettuali era già compiuta e le leggi razziali non trovarono nemmeno nelle Università un luogo di opposizione. È un dato che va tenuto a mente, soprattutto di fronte alla tesi – purtroppo sempre più diffusa oggi – secondo la quale la svolta del fascismo verso il male si ebbe solamente nel 1938 come conseguenza dell’avvicinamento a Hitler.

Le leggi razziali furono sì un prodotto di importazione, ma un prodotto che trovò in Italia il terreno giusto per attecchire, un terreno che il fascismo era andato costruendo nei quindici anni precedenti attraverso la progressiva privazione delle libertà e le politiche di indottrinamento a tutti i livelli della società, spesso messe in atto attraverso la corruzione. La violenza, certo, ci fu, ma ciò che permise il successo del fascismo furono i privilegi elargiti, che portarono molti di quelli che avrebbero dovuto essere un baluardo di intelligenza ad abbassare le riserve morali: qualcosa che dovrebbe farci riflettere anche oggi.   

In Italia per molti anni – anche ben dopo la caduta del regime – la connivenza della società civile e intellettuale con il fascismo fu un argomento di cui non si volle parlare (tra i pochi a cercare di abbattere questo muro, ricordiamo Pasolini). Con il progetto L’Università di Roma e le leggi razziali del 1938 la Sapienza contribuisce a sfatare il tabù, mettendo la stessa Università – quella di allora – sul banco degli imputati, e con questa azione ci mostra tutta la forza della democrazia.

La persistenza del male e le sfumature attraverso le quali esso si è espresso nel corso della storia (e ancora oggi) devono essere una lezione dal passato, un incentivo a percepire le avvisaglie mascherate, a guardarsi dalla malizia del potere e a tenere sempre presente la stessa nostra debolezza di esseri umani.

Il progetto mette in luce l’impatto delle leggi razziali nell’Università di Roma, il ruolo degli organi di Ateneo nell’applicare le discriminazioni e le ripercussioni su docenti e studenti. Di grande interesse anche l’approfondimento relativo alle modalità con le quali l’ideologia razzista entrò all’interno degli insegnamenti universitari, decretando il punto di arrivo di un lungo processo di abolizione della libertà di insegnamento attraverso la quale il fascismo puntava a formare nuove generazioni di cittadini fedeli al regime.

Le storie personali delle vittime
delle leggi razziali

Attraverso il portale vengono riportate alla luce le storie personali delle vittime delle leggi razziali, i cui percorsi biografici è possibile ricostruire a partire dai documenti riemersi dagli archivi. Questo consente di ridare uno spazio di espressione alle voci silenziate dei 61 uomini e delle 6 donne espulsi o allontanati dall’Università come conseguenza delle leggi razziali.

Durante la presentazione del 26 gennaio, il coordinatore del progetto Prof. Umberto Gentiloni, nel corso di un toccante intervento, ha letto il discorso del Rettore Pietro de Francisci all’apertura dell’anno accademico 1938-1939, leggendo i suoi appunti (ora digitalizzati sul portale), mostrandoci uno dei punti più bassi della storia dell’università.

Per fortuna è stato Rettore tra il 1944 e il 1948 anche Giuseppe Caronia, che invece non dobbiamo e non vogliamo dimenticare, esempio per le generazioni future. Durante l’occupazione nazista ricoverò presso il proprio reparto ottantanove tra ebrei e antifascisti, per metterli al sicuro dai rastrellamenti. Per questa azione è stato insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni, onorificenza conferita ai non-ebrei che durante la Shoah hanno messo a rischio la propria vita per salvare altre vite dalla furia nazista.

Un progetto di questo genere è possibile oggi grazie agli strumenti digitali: la tecnologia ci aiuta ancora una volta nel campo della sensibilizzazione, non solo verso i temi del presente ma anche intorno alle questioni storiche che ci riguardano sempre da vicino. Il progetto L’Università di Roma e le leggi razziali del 1938 coglie l’importanza di una ricostruzione storica senza pregiudizi e indulgenze e della divulgazione efficace e accessibile delle ricerche quali presupposti indispensabili per mantenere viva la memoria.

[In collaborazione con Daniel Raffini]

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