Se siete tra quelli che pensano che il latte d’avena è tra i prodotti meno comunicabili al mondo, e che le fredde menti dei colleghi svedesi sono al più capaci di pubblicizzare il comodino VIKHAMMER di IKEA, questo articolo è per voi! Non siate timidi, anche io prima di conoscere questa storia lo pensavo. Leggete, e a fine articolo mi direte se non è venuta anche a voi una gran voglia di prendere il primo aereo direzione Stoccolma. 

Quando la comunicazione è utilizzata dalle aziende come mezzo per un obiettivo collettivo al di là del mero incremento di fatturato, mi emoziono sempre un pò. Per questo ho deciso di iniziare questo blog portando un esempio di campagna di comunicazione sostenibile che viene da oltralpe, un pò meno mainstream, ma estremamente esemplare. 

Tutto nasce da una grande verità che dovrebbe essere alla base di qualsiasi processo di comunicazione: prima di comunicare qualcosa bisogna essere qualcosa. Un pò meno di una massima platonica, ma che trasmette un principio spero condiviso dai più, per cui prima dell’apparenza bisogna pensare alla sostanza. Nel nostro caso, non starò qui a indottrinarvi su quanto i prodotti consumati giornalmente sulle nostre tavole impattano sull’ambiente (lo sapete già da soli che per produrre 1 kg della carne di maiale di cui era fatto l’hamburger che vi siete mangiati a pranzo ci vogliono circa 4.800 litri di acqua, vero?). Bene, allora sono sicura che vi farà piacere sapere che OATLY, produttore di latte di soia svedese che pochi di voi riconosceranno dato che non distribuisce – ancora – in Italia, lavora sodo da anni per ridurre l’impatto ambientale dei suoi prodotti. 

Quindi smarcata la regola del devo essere sostenibile prima di poter dire che lo sono, nasce in OATLY l’esigenza di comunicare il proprio impegno verso l’ambiente: mi immagino il CEO pensieroso alla sua scrivania che si chiede “abbiamo fatto tanta strada per rendere il nostro di latte sostenibile, e ora come lo diciamo ai nostri consumatori?”. Se anche voi state pensando che sarebbe sufficiente scriverlo sui cartoni del latte con un’etichetta più o meno accattivante, vi dico fuochino. Purtroppo anche in questo caso vale la regola del o tutti o nessuno: se OATLY fosse l’unica azienda a segnalare l’impatto dei suoi prodotti sull’ambiente, per il consumatore sarebbe come non ricevere questa informazione. Immaginate di andare al supermercato e leggere sul retro di una confezione “0,3 kg di emissione di CO2 per ogni kg di prodotto”. Interessante, ma cosa vuol dire esattamente? Quanto è 0,3 kg di emissioni di CO2? E’tanto? E’ poco? Domande a cui da soli è difficile rispondere (a meno che non tirate fuori una laurea in chimica, e allora alzo le mani). 
Questo è il tipico problema che nasce quando non si ha un termine di paragone disponibile: il consumatore sullo scaffale non trova un dato da comparare a quello di OATLY, quindi tutti gli sforzi del nostro CEO di comunicare il basso impatto del suo latte rimangono vani se l’indicazione non appare anche sugli altri prodotti. Per questo, i suoi colleghi del reparto marketing gli sono andati in soccorso con un’idea (a mio parere) geniale: e se facessimo una campagna di comunicazione non finalizzata ad auto-elogiare la nostra sostenibilità, ma a rendere obbligatoria per tutti i prodotti alimentari un’etichetta esplicita in cui si dichiara l’entità del loro impatto sull’ambiente? Fu così che il CEO di OATLY smise finalmente di guardare l’albero e iniziò a guardare il bosco nel suo intero, tornando a sorridere.

Da quest’idea è nata la campagna pubblicitaria tra le più stimolanti degli ultimi anni. Da un’indagine, il team di ricerca di OATLY ha scoperto che l’85% dei tedeschi desidera mangiare cibi più climate friendly, ma che non lo fa semplicemente perché non sa come riconoscerli. E se un bisogno è percepito dalla quasi la totalità della popolazione, non diventa un diritto vederlo soddisfatto? 
Senza entrare nel filosofico, OATLY ha iniziato una petizione per rendere obbligatoria su tutti i prodotti alimentari l’etichetta con indicato il relativo impatto ambientale. Per raccogliere in 28 giorni le 50.000 firme necessarie a portare la proposta in parlamento, OATLY ha messo in piedi una campagna multimediale chiamata “Hey food industry, show us your numbers” che ha ricoperto con i suoi claim le strade di Berlino, di Amburgo, le riviste nazionali e i maggiori social media.
Isn’t it weird that food industry emits 24% of all emotions?” e “Make CO2 food labels a law” sono solo alcuni esempi degli slogan che per giorni sono stati sulla bocca di tutti, portando ad accesi dibattiti e a sentiti supporti da parte di influencer, politici e personaggi dello spettacolo. Perfino il famoso rapper tedesco Moses Pelham ha supportato la nobile causa pubblicando delle strofe apposite (qui il video per godere di 3 minuti di pura incomprensione).  

La genialità della campagna è evidente: non si tratta di convincere all’acquisto di prodotti più o meno utili, qua stiamo parlando di un vero e proprio processo di consumer empowerment che chiama a rapporto tutti i produttori dell’industria alimentare per dare alle persone gli strumenti per compiere scelte consapevoli.

La nobiltà della causa e la schiettezza del messaggio hanno portato i nostri eroi ad un’impennata sorprendente: se il giorno prima della chiusura della petizione mancavano ancora 20.000 firme, queste sono state raccolte grazie ad un post social strappalacrime nel giro di appena 24h. Il giusto finale hollywoodiano per evitare un epic fail decisamente non meritato dopo tutto questo sforzo.

OATLY ha quindi vinto la sua battaglia: il 14 settembre è stata presentata la petizione alla Commissione del Bundestag e attualmente sono in work in progress per ufficializzare entro giugno l’obbligo per tutti i produttori alimentari della Germania di dichiarare esplicitamente sull’etichetta dei prodotti il relativo impatto ambientale.

Che vi avevo detto, hanno sorpreso anche voi gli amici svedesi di OATLY? Manderei i più sentiti complimenti al CEO per l’iniziativa, ai creativi per lo stampo vintage-retrò della grafica, ai copy per l’originalità dei testi, e al dipartimento marketing per la distribuzione capillare della campagna. Bravi! 

Non mi resta ora di suggerirvi di visitare il loro sito per godere di qualche pillola di buon marketing e, se vi ho incuriosito abbastanza, cliccate qua per vedere cos’altro stanno combinando!
Ah, e dimenticavo: non rimanete spiazzati se a breve vedrete qualche simpatico biondino a palazzo Chigi che discute di commercio alimentare con i nostri politici, era tutto nei (loro) piani!

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