Se in questi giorni siete a Roma, vi consigliamo di raggiungere la splendida Piazza di Pietra perché al n. 28 potrete ammirare tre cose interessanti: la prima riguarda le fondamenta del complesso del Tempio di Adriano, la seconda si riferisce alla galleria 28 Piazza di Pietra, la terza è la mostra di Marco Ercoli curata da Giorgia Basili e ospitata nella stessa galleria.

Epimeteo è la personale di Ercoli visitabile fino al 3 gennaio 2023 che vi invitiamo a non perdere. Connessioni di senso molto significative vengono colte tra la sede ospitante che eredita le vestigia del più noto Hadrianeum, e il pensiero dell’artista che riunisce archeologia e modernità.

Epimeteo: chi era costui? Era un Titano, fratello di Prometeo – noto quest’ultimo per aver rubato il fuoco agli dèi con l’intento di consegnarlo agli uomini – e amante di Pandora (tutti i doni) dal cui vaso uscirono tutti i mali del mondo tranne Elpis, la speranza.

La curatrice Giorgia Basili fa notare che il titolo si rifà alla “constatazione della fallacia umana, dell’inganno che deriva dalla cieca fiducia nella speranza”. I greci, ricorda il testo critico, non riponevano fiducia nella speranza ma nella conoscenza del sé. Mi riferisco al noto “conosci te stesso” che campeggiava sul tempio di Apollo a Delfi faceva riferimento ai limiti della condizione umana e rappresentava il senso a cui doveva tendere l’uomo per scrutare il proprio ego e considerare la propria limitatezza.

28 dipinti, di cui 25 inediti rappresentano soggetti a metà tra antico e moderno. Il percorso espositivo si dispone su due livelli, in quello superiore sono esposti dipinti in cui “vengono presentate la miseria e la ricchezza umane, le illusioni e la tirannia dell’ego, il tempo e le sue scansioni”, spiega Giorgia Basili.

Apoteosi, Estasi, Apoteosi e l’estasi, sono le tre tele che danno inizio alla mostra, in cui l’imperatore Caligola è avvolto dalle fiamme dell’ustrinum, la pira funebre, che assicurava agli imperatori (ma non a Caligola perché colpito da damnatio memoriae) di essere consegnati all’eternità, di essere venerati come dèi e assumere l’epiteto di divo (e non dio).

Il divo Giulio, il divo Augusto, il divo Antonino, insieme a molti altri imperatori: il titolo di divus era conferito al princeps al quale era riservata la pratica dell’apoteosi (presso gli dèi) che consentiva agli uomini mortali di essere ammessi nell’Olimpo. Caligola chiedeva per sé onori divini in vita e per questo fu molto osteggiato; da qui la riflessione sulla cupidigia umana da parte dell’artista.

In questa sezione superiore anche due opere che riflettono il pensiero di Ercoli sullo scorrere del tempo. Il dittico Prima o poi e l’opera Nell’arco della giornata disposti a suggerire la scansione cronologica del giorno, tornano sulla caducità umana e sulla natura effimera che ci appartiene. Alla stessa riflessione appartengono anche Un quarto a mezzogiorno e Crepuscolo in cui il fuoco che divora e le celle delle api alludono entrambe alla finitezza di un’esistenza limitata al tempo vissuto.

Nel piano inferiore compaiono opere che riguardano argomenti più intensi portati avanti dell’artista. Qui si ammirano le vestigia del Tempio di Adriano con grossi blocchi in muratura isodoma riconosciuti come basamento del portico del tempio.

I ritratti esposti sono espressione di un fondamentale viaggio in Cambogia e rimandano al genocidio di Tuol Sleng che comportò la morte di migliaia di persone. I Khmer rossi furono i terribili autori del genocidio cambogiano (1975-1979). Ercoli ha visitato il Museo S-21 in cui si racconta il terribile massacro, e ne riporta l’esperienza in questi dipinti iconici.

Tra i pochi sopravvissuti all’ecatombe non possiamo non citare Vann Nath, un pittore che ebbe il compito di effigiare Pol Pot, capo dei rivoluzionari dei Khmer rossi, e Bou Meng, anche lui artista, che fu obbligato a rappresentare altri personaggi del partito.

In questi dipinti Ercoli riflette sulla prevaricazione ingiustificata dell’uomo sui suoi simili e sull’assurdità della condizione umana che genera cataclismi storici che non possono essere dimenticati.

Accanto ad una serie di quadri sullo studio della mani, troviamo Sole Amaro, l’opera simbolo della mostra. Marco Ercoli ha qui prodotto un autoritratto con il capo coperto da un elmo-scolapasta su cui sono inseriti dei cactus con aculei. Struggente il riferimento alla battaglia ineguagliata tra le avversità della natura e la modestia della difesa umana che si risolve in un nulla di fatto.

Marco Ercoli nasce a Roma nel 1986, a nella vita decide di vivere lontano dai clamori della città. La solitudine, la calma, il vento sono gli unici compagni del suo ritiro insolito tra gli Appennini a tempo indeterminato. Riflette sul tempo presente e passato e porta all’attenzione di tutti alcuni temi che sono pugni nello stomaco, che scuotono le coscienze, che strizzano i cuori nell’ottica di un vivere incentrato solo sul rispetto e la tolleranza.

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