Viaggiare per poesia attraverso la Russia: un libro di Marina Cvetaeva
Le poesie e il faticoso cammino nella Russia nomade e tormentata di Marina Cvetaeva, una delle più alte voci della poesia del secolo scorso.
Le poesie e il faticoso cammino nella Russia nomade e tormentata di Marina Cvetaeva, una delle più alte voci della poesia del secolo scorso.
(English translation below)
Una sola poesia può racchiudere come un talismano il manifesto del nomadismo, e, si sa, come un amico fedele può accompagnarci in viaggio. Si legga, in quest’estate calda e dunque propizia alle ore notturne, scossa dagli orrori di una Russia oppressiva e crudele, il verso di Marina Cvetaeva (in italiano tradotto da Pietro Zveteremich per Feltrinelli), che conobbe fin troppo sulla propria pelle quell’andare per le spicce con la storia e con i destini delle creature, inflitti dagli oligarchi del tempo. Oggi Marina Cvetaeva è unanimemente considerata una delle più alte voci della poesia del secolo scorso.
“Un mondiale nomadismo è cominciato nel buio:
sono gli alberi che vagano sulla terra notturna.
Sono i grappoli che fermentano in vino dorato,
sono le stelle che di casa in casa peregrinano,
sono i fiumi che il cammino cominciano a ritroso!
E io ho voglia di venire da te sul petto – a dormire.”
È il riposo che chiediamo anche tutti noi, storditi dai tempi violenti: quello dell’amore, della vicinanza tra corpi, del sonno e del sogno, ma mobili come gli astri lontani o il mondo vegetale sotto casa, mai distratti dalle miserie umane e tutti presi dal loro costante movimento – il cammino delle piante, dell’acqua, dei semi. Sono gli elementi che ci scuotono dalla nostra pigrizia e ci prendono per mano.
“Cari compagni di strada che con noi divideste l’asilo notturno!
…
Ah, nella precoce, paradisiaca, zigana aurora,
ricordate il vento del mattino e la steppa in argento?
La fumata turchina sulla montagna
E del re zigano –
La canzone?…”
…
“Non vi trattennero, compagni di strada di un’età portentosa,
le nostre povere voluttà e i poveri nostri conviti.
Ardenti fiammeggiavano i falò,
ci cadevano addosso i tappeti –
gli astri…”.
Gli ingredienti del viaggio: lo spirito degli zingari, la strada, il ritrovarsi intorno al fuoco, i tappeti di stelle. E un penna, un pezzo di carta, o una tastiera qualsiasi, per scrivere quello che si sente.
Marina Cvetaeva scrisse questi versi nell’inverno del 1917, in una Russia travolta, dove anche lei, con tutto il suo straordinario popolo, era on the road, in movimento. Di quel ritmo testimonia un’altra sua poesia, della medesima raccolta, che è un condensato di libro di viaggio in treno.
“Grido delle stazioni: resta!
delle sale d’aspetto: oh, compassione!
grido delle stazioni secondarie:
non è l’esclamazione di Dante:
‘lasciate ogni speranza’?
E il grido delle locomotive.
Con il ferro squassa
e col rombo di un’onda oceanica.
…
Via da noi? – No, su di noi
Le ruote trasportano gli amati!
…
‘La vita è rotaie! Non piangere!’
Massicciate – massicciate – massicciate….
…
Al che, dopo un silenzio: ‘Ci sono le traversine’.”
La poesia di viaggio, e il viaggiare per poesia, possono salvare un’estate. E per espandere ancora gli stati d’animo della geografia, si chieda a qualche amico che parla russo di leggere Cvetaeva a voce alta, o anche sussurrata – che lingua incantevole: varcheremo ancora di più il confine che ci separa dalla Russia che amiamo e ancora non redenta.
ENGLISH VERSION
A book of poems and the journey through the nomadic and tormented Russia by Marina Tsvetaeva.
A single poem can enclose the manifesto of nomadism like a talisman, and, as we know, accompany us on a journey like a faithful friend. Read, in this hot summer and therefore inclined to night hours, shaken by the horrors of an oppressive and cruel Russia, the verse by Marina Tsvetaeva who knew all too much about going fast with history and with the destinies of creatures, inflicted by the oligarchs of the time. Today Marina Tsvetaeva is unanimously considered one of the highest voices of poetry of the last century.
“A global nomadism began in the dark:
they are the trees that roam the nocturnal land.
They are the grapes that ferment in golden wine,
they are the stars who wander from house to house,
are the rivers that begin the journey backward!
And I want to come to you on the chest – to sleep. “
It is the rest that we all ask for, stunned by violent times: the rest of love, of close bodies, of sleep and dreams, but also mobile like distant stars or plants and seeds, never distracted by human miseries and all taken by their constant movement. They are the elements that shake us from our laziness and invite us to move on.
“Dear fellow travelers who shared the night nursery with us!
…
Ah, in the precocious, heavenly, gypsy dawn,
remember the morning wind and the silver steppe?
The blue smoke on the mountain
And of the gypsy king –
The song?…”
…
“They did not hold you back, fellow travelers of a prodigious age,
our poor voluptuousness and our poor banquets.
The bonfires blazed,
carpets fell on us –
the stars … “
The ingredients of the journey: the spirit of the gypsies, the road, the gathering around the fire, the carpets of stars. And a pen, a piece of paper, or any keyboard, to write down what we feel. Marina Tsvetaeva wrote these verses in the winter of 1917, in an overwhelmed Russia, where she too, with all her extraordinary people, was “on the road”, on the move.
Another poem of her illustrates the rhythm of the train, another travel condensation.
“Shout of the stations: stay!
waiting rooms: oh, pity!
cry of the secondary stations:
is not Dante’s exclamation:
‘Abandon all hope’?
And the cry of the locomotives.
With the iron shakes
and with the roar of an ocean wave.
…
Away from us? – No, about us
Wheels carry loved ones!
…
‘Life is rails! Do not Cry!’
Ballast – ballast – ballast ….
…
To which, after a silence: ‘There are sleepers’.”
Travel poetry, and travel for poetry, can make our summer. And in order to further expand such sentimental geography, ley’s ask some Russian-speaking friends to read Tsvetaeva aloud, or even whispered – what a beautiful language: we will cross even further the border that separates us from the Russia we love but still not redeemed.