Sei femminicidi solo negli ultimi giorni: una violenza inaudita, quella sulle donne, in velocissima picchiata verso quello che si preannuncia come lo schianto del secolo. Maltrattate, abusate, ferite e, appunto, uccise sempre di più.

Fino al 1981 in Italia c’era il delitto d’onore, e chissà quanti femminicidi non sono mai stati catalogati come tali, dando una percezione alterata della realtà. C’è voluto tempo, sono state necessarie tante battaglie perché sia possibile oggi l’indignazione e l’uso corretto delle parole e della narrazione. Anche per la violenza sessuale.

Fino a qualche anno fa era la normalità: eri tu strana se ti dava fastidio essere toccata, se non volevi andare con quel tizio e non ci andavi. Eri strana se una parte importante di te si ribellava a quei fischi, quelle mani, quegli sguardi, quelle pretese. Una violenza che permeava ogni cosa e che ancora è stesa come una coltre di nebbia su tutto.

Violenza sulle donne, Photo by Nino Care on Pixabay

Il pregiudizio della magistratura

Le donne uccise in questi giorni avevano denunciato l’uomo che si è poi arrogato il diritto di togliere loro la vita, ma erano rimaste inascoltate. Nonostante tutto – anni di femminismo, di battaglie appunto e anche l’approvazione di una legislazione, il cosidetto codice rosso, che tutelerebbe se davvero applicata – non c’è formazione nelle forze dell’ordine, non c’è capacità di ascolto e c’è fortissimo quello che la giudice Paola Di Nicola chiama il pregiudizio della magistratura: e non a caso il sottotitolo del suo libro, La mia parola contro la sua, è: quando il pregiudizio è più importante del giudizio.

Dieci secondi troppo pochi per dire violenza

Qualche esempio? La sentenza della giudice che ha ritenuto l’operatore scolastico della scuola romana Rossellini preda di un attacco goliardico e i dieci secondi in cui aveva infilato le mani nelle mutande di una studentessa un tempo troppo breve per configurarlo come reato sessuale, mandandolo assolto.

La stessa giudice che ha ritenuto la donna, ventenne, che aveva denunciato il suo dirigente per averla molestata più e più volte, troppo complessata (“per il suo peso”) per darle retta, e lui decisamente “giocherellone”.

Violenza sulle donne, Anete Lusina by Pexels

“Non avevano capito che lei non voleva”

A Firenze di recente un giudice, sono state appena pubblicate le motivazioni della sentenza, ha mandato assolti due amici che avevano violentato una diciottenne perché, poverini, non avevano capito che lei non voleva. L’immaginario completamente colonizzato da pornografia di basso livello e altissima violenza non avrebbe consentito loro di andare oltre la mercificazione del corpo di una donna; donna che per di più, in quell’immaginario, non aspetta altro che di essere violentata.

Senza consenso è stupro

Se fosse già stata approvata e ratificata nella legislazione nazionale la direttiva Ue approvata a fine luglio, questa sentenza non ci sarebbe mai stata. O almeno le difficoltà ad emetterla sarebbero state forse qualcuna in più.

La direttiva stabilisce, senza mezzi termini, che se non c’è consenso è violenza. Con una legge chiara sul consenso, dunque, la sentenza di assoluzione emessa a Firenze non ci sarebbe mai stata. E si interviene anche sulla formazione dei magistrati, troppo spesso impastoiati in pregiudizi inconsapevoli, perché, come spiega la giudice Paola Di Nicola:

“Sui reati di violenza sulle donne prevalgono spesso stereotipi e valutazioni soggettive di un patrimonio conoscitivo di chi interpreta, tale da modificare i fatti e talvolta facendo dire alla legge ciò che non è espressamente scritto”.

Violenza sulle donne, Photo by Mart Production on Pexels

Venti anni per denunciare

Di più. Questa direttiva, che affronta anche i reati di mutilazione genitale femminile e di violenza sulle donne online e che spiega che dovrà essere aperta una casa rifugio ogni 10mila abitanti (per ora l’unica cosa che si sta facendo è chiuderle), oltre al tema del consenso (senza consenso è stupro) stabilisce che una vittima di violenza abbia 20 anni per denunciare: il tempo per l’elaborazione infatti non può essere considerato secondario: un anno, come è adesso, è davvero troppo poco.

Oggi, spesso, una donna non viene creduta perché “è passato troppo tempo”. Ma pensiamo alla violenza in famiglia: quanto tempo è necessario per accettare di essere stata vittima di una violenza? E per decidere che chi l’ha fatto ha commesso un reato? Che non è in nessun modo colpa di quella che spesso è solo una bambina?

Adesso l’Italia, come gli altri Paesi europei, ha due anni di tempo per recepire questa direttiva e legiferare.

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