Qualche anno fa ebbi una conversazione con M., una persona ora quasi ottantenne, che conoscevo perché frequentava uno dei gruppi di cattolici LGBT di Roma. Avevamo organizzato un incontro centrato sulle persone transgender, volendo mettere al centro le storie, facendole raccontare dalle persone stesse, uscendo, quindi, da immaginari precotti.

Alla fine dell’incontro, M. mi prese da parte e mi ringraziò perché aveva capito all’improvviso cosa fosse quel sentire che lo aveva accompagnato tutta la vita e a cui non aveva saputo dare un nome. M. era probabilmente una persona transgender che non aveva avuto gli strumenti per diventare consapevole della sua identità di genere e intraprendere un percorso per sbocciare.

Nella giovinezza di M., gli anni ’60, non c’era spazio per la descrizione della quotidianità di una persona transgender, al netto della macchietta o della raffigurazione sociale come deriva legata alla prostituzione. Dal suo bozzolo, M. non sarebbe mai divenuto farfalla.

Sicuramente ognuno di noi, se andiamo a scavare nella memoria più remota, ha un ricordo, un racconto ascoltato da un parente, un collega, magari giovani nel dopoguerra, non immediatamente collocabili secondo gli schemi ordinari. Io ne ho diversi: “è rimasto signorino. Chissà quante donne ha fatto piangere!” si diceva di un lontano zio non sposato che aveva l’hobby della pittura e della moda; “la signorina S. (amica dei miei nonni) si è sempre vestita  da uomo per praticità! Tanto non si è mai voluta sposare!”. Ma nessuno andava mai oltre quelle scarne definizioni e non si indagava mai e poi mai sulla vita sentimentale di queste persone che diventavano improvvisamente asessuate.

Oggi le cose sono fortunatamente diverse e il tabù dello storytelling famigliare è caduto. Le storie di persone transessuali sono sempre più presenti nella narrazione quotidiana e presentate nella verità e senza intermediazione.

Nel cinema le cose non sono andate molto diversamente. Ho avuto l’occasione di rendermene conto vedendo ieri in sala la stupefacente versione di Steven Spielberg di West Side Story, uscita prima di Natale.

Sopraffatto dalla bellissima interpretazione del classico di Leonard Bernstein, con le parole di quel genio di Stephen Sondheim, stava per sfuggirmi la piccola grande rivoluzione del cameo fluorescente rappresentato dal personaggio transgender di Anybodys.

Nel musical di Brodway originario, e nella versione cinematografica del 1961, diretta da Jerome Robbins e Robert Wise, Anybodys è parte del gruppo delle ragazze del clan dei Jets. Viene descritta come un Tomboy ovvero un maschiaccio, come si soleva definire le femmine che vestivano come i maschi. Ma a tutti gli effetti Anybody viene rinchiusa nel suo ruolo di ragazza nonostante voglia a tutti i costi fare parte dei Jets, gruppo iconoclasticamente eterosessuale, paradossalmente raccontato da quattro gay quali erano Bernstein, Sondheim, Robbins e Wise.

Susan Oakes, l’attrice che interpretò il personaggio nella versione cinematografica del 1961, sotto i vestiti da ragazzaccio e il taglio alla maschietta, mantiene un’allure femminile, come una specie di Rita Pavone prima maniera.

l’attrice Susan Oakes, interprete di Anybodys nella versione 1961 di West Side Story

Dopo 50 anni, veniamo alla versione di Spielberg che, per intepretare Anybodys, sceglie l’attrice transgender non binaria Iris Menas (che mi sembra di capire ami essere citata con il nome a lettere minuscole iris menas e con il pronome they). Già questa una scelta di campo: iniziamo a rendere le persone protagoniste delle loro storie, anche a partire dalla scelta degli attori e delle attrici.

Nel 2021 Anybodys è difficilmente riconducibile a una ragazza. Non si distingue dal resto dei Jets, iconograficamente ne è parte integrante: dalle posture, alla fisicità, alla, come detto sopra, allure.

Rifiuta a chiare lettere di essere identificata come ragazza: “I am not a girl” (“Non sono una ragazza”), declama deciso. Sa e sente di essere un ragazzo e pretende che il mondo attorno a lui lo consideri per come sente di essere. L’Anybodys di Spielberg è proud di essere transgender.

iris menas, interprete di Anybodys nella versione 2021 di West Side Story

Nella famosa scena dell’interrogatorio in commissariato, gli viene riservato un posto sulla panca delle donne, di fronte ai suoi amici Jets e Anybodys schiuma di rabbia, soprattutto quando la donna accanto a lui gli offre dello smalto.

Alla fine, il riconoscimento collettivo. Uno dei Jets, riconoscendosi in come Anybodys aveva agito per il bene del gruppo, gli dice “You done good, buddy boy” (“Hai fatto bene, amico mio”). Tuttavia, poco dopo, Anybodys, nonostante essere stato appena accettato dai Jets, si allontana e non partecipa allo stupro collettivo di Anita, come a significare una solidarietà tra persone comunque vittime di una mascolinità tossica.

Insomma, un bel salto nella raffigurazione della questione transgender nel cinema. Importante l’atto di Spielberg che assume una valenza decisamente politica, al punto che West Side Story 2021 non uscirà in Arabia Saudita proprio a causa della presenza del personaggio di Anybodys.

Chiudo questo articolo con una ciliegina sulla torta: proprio mentre scrivo mi arriva la notizia che, per la prima volta nella storia, ai Golden Globe 2022 il premio per migliore attrice per una serie drammatica è stato assegnato all’attrice transgender MJ Rodriguez, che interpreta, appunto, Blanca, la protagonista transgender della fortunata serie Pose ideata da Ryan Murphy.

MJ Rodriguez, prima donna transgender a vincere un Golden Globe
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