Oggi, 17 maggio 2022, ricorre in tutto il mondo (per lo meno nei paesi che decidono di ricordarla) la giornata contro l’odio omobitransfobico, la IDAHOBIT (International Day Against Homophobia, Biphobia, Transphobia).

La prima Giornata internazionale è stata istituita il 17 maggio 2004, a 14 anni dalla decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (17 maggio 1990) di eliminare l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.

Dal 2007 la giornata è stata inserita nel calendario ufficiale dell’Unione Europea.

Sono passati 18 anni da quel primo 17 maggio e molte cose sono cambiate, almeno nell’occidente del mondo, per la condizione delle persone LGBT+. In molti paesi del mondo esiste il matrimonio egualitario che, di fatto, include la possibilità per le coppie gay e lesbiche di adottare o, in alcuni paesi, di procreare attraverso i percorsi di fecondazione assistita.

Per le persone transgender, in diverse nazioni, è prevista la possibilità di avere riconosciuto il percorso di transizione e la propria identità sociale coerente con quella di genere.

Da pochi giorni, tuttavia, si è conclusa la conferenza annuale di ILGA (International Lesbian and Gay Association), la principale associazione internazionale per i diritti delle persone LGBT+, che ha fatto il punto, paese per paese, della situazione.

Ne emerge un panorama complesso, molto diversificato a seconda della latitudine e della longitudine del mondo.

La mappa mondiale dei diritti delle persone LGBT di ILGA

La mappa mondiale pubblicata da ILGA mostra un mondo diviso in due: America, Europa e Oceania da un lato e Africa e Asia dall’altro.

Osservando con calma la mappa, emergono tuttavia delle sorprese. Scopriremo, infatti, anche semplicemente a colpo d’occhio guardando i colori (da blu scuro = protezione costituzionale a rosso scuro = pena di morte che, ad esempio, l’Italia sta messa meno bene, in quanto a diritti delle persone LGBT+, ad esempio della Mongolia, o, andando in Africa, dell’Angola o del Sud Africa (che addirittura spicca tra i Paesi virtuosi).

Nel 2022 ancora 11 paesi prevedono la pena di morte per le persone LGBT+ e un totale di 70 una qualche forma di criminalizzazione.

Stringendo lo zoom sull’Europa, molti paesi hanno, di fatto, adottato il matrimonio egualitario ma resistono ancora delle sacche di resistenza, in primis in casa nostra, e ci fanno compagnia diversi paesi dell’Europa Orientale, alcuni dei quali non hanno neanche una legge sulle unioni civili (Polonia, Romania, Ucraina, Moldavia, …).

Perché nella mappa l’Italia ha un colore celeste chiaro, pari a quello di Polonia e Ucraina, e addirittura più chiaro di quello dell’Ungheria di Orban?

La risposta è evidente: perché, nonostante la legge sulle unioni civili, manca una legge contro l’omobitransfobia, che assicuri quella protezione estesa che nel nostro Paese manca, nonostante le dichiarazioni degli avversari di ogni disegno di legge arrivato sino ad oggi in Parlamento, ultimo il #ddlzan.

Nel report annuale di ILGA Europe, si può acquisire il dettaglio di cosa è successo alle persone LGBT+ nel 2021 nel Vecchio Continente, paese per paese, Italia inclusa, con un dettaglio estremamente analitico dei singoli episodi di omobitransfobia.

Dei 49 paesi osservati, il più avanzato per i diritti rainbow è Malta, che ottiene, nel Rainbow Index, un punteggio di 92% ottenuto grazie alle innovazioni legislative degli ultimi anni (dal riconoscimento dell’adozione per le coppie LGBT all’istruzione inclusiva), che stacca di ben 18 punti il secondo paese in classifica, la Danimarca.

Per capirci, l’Italia ottiene un 25%, 5% in meno del 30% ottenuto dall’Ungheria di Orban.

Il Rainbow Index pubblicato da ILGA

Ma cosa misura il Rainbow Index di ILGA? Tutto ciò che in ogni singolo Paese è stato fatto per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone LGBT+ e contro l’omobitransfobia, secondo 7 aree di analisi:

  • Uguaglianza e non discriminazione
  • Famiglia
  • Crimini e linguaggio d’odio
  • Riconoscimento legale del genere
  • Riconoscimento dell’integrità fisica per le persone intersessuali
  • Spazio nella società civile
  • Diritti d’asilo.

Delle 74 condizioni auspicate osservate, l’Italia risulta essere adeguata solo per 18 di esse. In particolare, il nostro Paese emerge in tutta la sua contraddizione tra ciò che accade quotidianamente e l’impostazione ideologica che inquina il dibattito generale e impedisce l’andare avanti della legislazione.

Se, infatti, risultiamo essere a posto per quanto riguarda lo spazio concesso alla narrazione LGBT+ e alle attività delle associazioni, per le aree più strutturate, quelle della legislazione, dell’istruzione, risultiamo totalmente arretrati, addirittura ultimi in classifica, tra i Paesi dell’Unione Europea, nella categoria Crimini e linguaggio d’odio a causa, per l’appunto, della mancanza di una legge contro l’omobitransfobia.

Cosa limita ancora oggi in Italia
la libera espressione dei diritti
delle persone LGBT+?

Direi una concomitanza di cause che stanno interagendo, a volte con dinamiche inattese:

  • In primis il modello patriarcale, ancora molto diffuso nella nostra società, che prevede ruoli sociali e familiari nettamente distinti per genere, senza alcuna possibilità per un genere di entrare nella sfera di azione riconosciuta all’altro. Le persone LGBT+, nei rapporti di questo modelli, fungono da elemento sovvertitore che va, quindi, espulso, reso innocuo, marginalizzato.
  • La radicalizzazione di alcune frange del movimento femminista che, da un lato, si oppongono alla possibilità di genitorialità per le famiglie arcobaleno, dall’altro intentano una lotta senza frontiere alle persone transessuali, in particolare alle persone in transizione da maschio a femmina (MTF), impugnando la bandiera del “femmina si nasce e non si diventa”, accampando inesistenti teorie cospiratorie di maschi che si spaccerebbero per femmine per vincere a gare sportive, ottenere posti di lavoro in quota rosa, ecc.
  • La fobia del gender, dinamica esplosa diversi anni fa a cura di movimenti fondamentalisti che, con un sapiente lavoro organizzato, hanno instillato nel ventre molle della società italiana la convinzione che esista una lobby gay che abbia l’obiettivo di omosessualizzare la società, a partire dalla scuola. Questa operazione ha, di fatto, negli anni limitato moltissimo la possibilità di parlare, ad esempio, di inclusione, omotransfobia nelle scuole. Su questa fobia del gender alcuni partiti politici costruiscono il proprio consenso elettorale.

Il risultato è che, ad oggi, non si parla di matrimonio egualitario né di possibilità di adozione per le coppie LGBT+, la strada per la legge contro l’omobitransfobia è ancora in salita, e in commissione giustizia esiste un disegno di legge che mira a perseguire la gestazione per altri, quantunque effettuata all’estero nel rispetto della legge vigente nel determinato Stato, come reato universale.

Ma c’è anche chi ci prega su. Dal 2007, infatti, in diversi paesi del mondo i gruppi di cristiani LGBT+ organizzano, sempre più supportati da altri movimenti cristiani e, in alcuni casi, da diocesi, parrocchie e esponenti dell’istituzione cattolica, delle veglie di preghiera per ricordare le vittime dell’odio omobitransfobico.

Il video che promuove le veglie contro l’omotransfobia 2022

Dal calendario 2022 delle veglie, raccolto dal portale gionata.org, appare che ben 31 città ospiteranno una veglia.

Cambieranno mai le cose in Italia? Si riuscirà mai a scendere dal terreno ideologico a quello reale? L’omobitransfobia potrà mai sparire?

Le parole magiche, per me, sono contaminazione ed inclusione. Più si riuscirà a far emergere le storie concrete delle persone e più sarà difficile e inutile contrapporre, alla inesorabile verità delle esistenze, fantomatiche strutture ideologiche che in genere non riescono ad essere risolutive o utile per dare risposte concrete ad altrettanto concrete urgenze.

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