Studiare e votare non servono
Leggere per sapere, studiare per formarsi e infine leggere e studiare per votare. "La giornata di uno scrutatore" di Italo Calvino
Leggere per sapere, studiare per formarsi e infine leggere e studiare per votare. "La giornata di uno scrutatore" di Italo Calvino
Perché studiare e formarsi come individui, se chi ci governa è rappresentanza di una esiguità di votanti? Leggere per sapere, studiare per formarsi e infine leggere e studiare per votare. Quante persone, però, si interessano oggi a conoscere e soprattutto a votare?
La domanda nasce, ma non solo, in seguito all’analisi dei recenti dati sull’inarrestabile calo dell’affluenza al voto, come avvenuto in Sardegna e Abruzzo in ordine di tempo. Questi dati a loro volta spingono a riflessioni sempre più stringenti sullo stato di salute della nostra società.
E l’unico termometro in grado di misurare lo stato di salute della società è l’istruzione. Ma la nostra istruzione valorizza solo il merito o anche la partecipazione civile?
Oppure conta di più il merito o la scolarizzazione diffusa? A mio giudizio, la seconda, e senza alcun dubbio in quanto la scolarizzazione incentiva pure la partecipazione politica.
Per diversi motivi. Tra questi spicca il dato relativo ai numeri della dispersione scolastica degli ultimi decenni che molto probabilmente va a coincidere con quelle rilevazioni ISTAT di un 37 per cento di persone (anno 2022) nella fascia d’età tra 25 e 64 anni, che non hanno conseguito un diploma di scuola secondaria superiore e che, probabilmente, rifuggono dal voto per delusione o incomprensione.
È chiaro che non ci sono correlazioni dirette tra non diplomati e non votanti, ma i sospetti restano forti comunque di un nesso tra i due fenomeni.
A questo, poi si aggiunge il corollario che la scolarizzazione accende non solo il ben de l’intelletto per dirla alla Dante ma permette anche di scegliere nelle urne a chi dare il proprio voto e di poterne valutare le competenze e le capacità. Senza cedere alle lusinghe di slogan o di populismi elettorali di facile consumo.
Dunque, oggi conta molto più combattere la dispersione scolastica che cercare di far affermare il merito individuale a discapito di tutti gli altri.
Consideriamo che viviamo nella società dei many to many, come ha ricordato Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 12 marzo 2024, dove la comunicazione dell’immediato è più forte di qualsiasi riflessione critica, proprio perché quest’ultima è per sua natura molto più lenta e ragionata. Perciò, la ricerca tenace della scolarizzazione diffusa a me sembra l‘unico vero antidoto al problema di una rappresentanza politica che, invece, si è strutturata negli ultimi cinquanta anni su una esiguità di elettori che non coincide affatto con il reale numero dei potenziali elettori.
Lo ha ricordato Giorgio Cremaschi sul blog del Fatto Quotidiano (Dall’Abruzzo all’Europa: non si può fare la sinistra dentro un sistema economico di destra, 11 marzo 2024):
“Oggi il suffragio universale formalmente non viene più negato, ma sta scomparendo nei fatti, secondo precise linee sociali e di classe. I poveri, gli emarginati e soprattutto gli operai non vanno più a votare. Al contrario, più il reddito e il benessere sale, più è forte la partecipazione al voto. La realtà è che stiamo tornando alla democrazia degli ottimati e dei borghesi, cioè alla negazione della democrazia di massa voluta dalla nostra Costituzione” .
Eppure, il bell’articolo sulle maestre di Andrea Catizone ha ricordato ancora una volta il sacrificio di chi ha lottato per far affermare il diritto universale di voto nella nostra società, a fronte delle disparità del passato, comprese le disparità di genere che, di fronte alla possibilità di scegliere, hanno costituito un ostacolo non sempre riconosciuto all’emancipazione femminile.
“Un popolo analfabeta non si riconosce in valori comuni. Su questo processo unitario e identitario hanno assiduamente lavorato, ma quanta attualità vi si riscontra, molte educatrici che, oltre ad aver insegnato a leggere e a scrivere, hanno trasmesso anche ideali di libertà, uguaglianza e unità nazionale. […] Le donne, alcune sacrificando la loro stessa vita, hanno giocato un ruolo cruciale nell’alfabetizzazione del Paese, ma anche nella costruzione e riconoscimento di un ruolo che la donna doveva aveva nella società”.
L’importanza del suffragio universale, potenziale ed effettivo, viene anche riconosciuta anche nei momenti di maggior scetticismo nei confronti della partecipazione politica quando quest’ultima si confronta drammaticamente con le sofferenze della vita comune di ciascun elettore. Se ne accorge Amerigo Ormea, il protagonista de La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino, chiamato a lavorare nel seggio dell’istituto Cottolengo di Torino, dove sono ospitati i minorati fisici e mentali.
“Erano di nuovo insieme, tutti i componenti del seggio nel locale della sezione. Non c’era più molto afflusso: ormai i nomi non spuntati, nell’elenco degli iscritti a votare, erano pochi. Il presidente, smessa la tensione nervosa, buttava fuori per reazione una giovialità altrettanto sussurrante: – Ah, domani ancora, lo scrutinio, e poi anche questa è fatta! Poi: signori, il nostro dovere l’abbiamo compiuto! Ah, per quattro anni almeno non ci si pensa più!“.
Tornando a noi, che merito c’è, dunque, nel farsi governare da una classe politica, espressione di una minoranza indefessa di votanti, ma le cui decisioni alle fine non rappresentano tutti i cittadini?
Questi sono i rischi di una ridotta rappresentatività democratica che, ai nostri tempi, è chiamata sempre più pericolosamente verso elezioni di camere monocratiche: non a caso, all’orizzonte si profila, last but not least, quel premierato che vuole concentrare e gonfiare i poteri del primo ministro, senza tener conto della reale partecipazione al voto dell’intera cittadinanza o, per converso, della scelta di astenersi dal voto di comunità sempre più numerose, per una serie di più o meno tacite ragioni.
Mentre invece oggi possiamo soltanto prendere atto di questa pericolosa coincidenza tra non voto e abbandoni scolastici che ha come sua ulteriore conseguenza una restrizione del bacino elettorale alla cui strozzatura però filtra una tale quantità di potere destinata, a chi la riceve, in misure non affatto proporzionali all’esiguità di emissione.
Una clessidra dai bulbi completamente asimmetrici, per capirci meglio.