Il 25 giugno del 1886 Matilde Serao pubblica coraggiosamente un articolo sul Risveglio educativo dal titolo Come muoiono le maestre. Il pezzo, uscito anche sul Corriere di Roma descriveva la tragica morte di una giovane maestra che si chiamava Italia Donati, morta suicida a seguito delle pressioni sociali ricevute per aver avuto una relazione segreta ed essere rimasta incinta al di fuori del matrimonio.

La vicenda di Italia è stata, per la scrittrice un prezioso pretesto per raccontare la storia di molte donne in quella Italia appena unita, ma certamente troppo incapace di riconoscere la libertà delle donne e la loro possibilità di scegliere, di autodeterminarsi. Una storia che ha consentito di denunciare la condizione delle maestre italiane, definite in senso dispregiativo maestrine e costrette, anche in questo ambito, a sopportate condizioni di vita e lavorative terribili. Giovani donne istruite e per questo obbligate ad insegnare in piccoli paesini lontani dalle loro famiglie e invise alla popolazione locale come minaccia che, attraverso l’insegnamento e la diffusione della cultura, distoglievano dal lavoro nei campi le piccole braccia dei bambini e delle bambine.

Percorsi scolastici più lunghi per ridurre l’analfabetismo

Eppure, nel Regno di Italia, con a capo Agostino Depretis, si sentiva l’urgenza di introdurre dei percorsi scolastici più lunghi che servissero a ridurre l’analfabetismo e consentire una maggiore diffusione della cultura e dunque il ruolo delle maestre era fondamentale.

Con la legge Coppino del 1877 si stabilisce la gratuità della scuola elementare, che diventa di tre anni, e l’istruzione per

i fanciulli e le fanciulle che abbiano compiuto l’età di sei anni e ai quali i genitori o quelli che ne tengono il luogo, non procaccino la necessaria istruzione o per mezzo delle scuole private […] o con lo insegnamento di famiglia, dovranno essere inviati alla scuola elementare del Comune

introducendo l’obbligo che dura fino ai nove anni e comprende le prime nozioni

dei doveri dell’uomo e del cittadino, la lettura, la calligrafia, i rudimenti della lingua italiana, dell’aritmetica e del sistema metrico”.

Una storia, quella di Italia Donati, che accomunava molte maestre, e che denunciava un’Italia unita, ma vecchia, che considerava ancora le donne non capaci di essere piene titolari di diritti e, anzi, imponendo loro condizioni di vita disumane. Si era molto distanti dall’emancipazione femminile che, purtroppo ancora oggi, è minacciata da una sotto/cultura in cui non vi è piena uguaglianza tra donne e uomini nonostante un quadro normativo, a partire dalla Costituzione repubblicana, che vieti ogni forma di discriminazione.

Il sacrificio della Donati dimostra quanto sia stata dura e ingiusta la condizione di sottomissione alla quale erano sottoposte le donne del Paese benché abbiano avuto e abbiano ancora un ruolo fondamentale nel percorso di alfabetizzazione del nostro popolo.

“Abbiamo fatto l’Italia, ora si tratta di fare gli italiani…”,

aveva detto Massimo D’Azeglio nel 1861 osservando la nazione unita territorialmente, ma linguisticamente e culturalmente frammentata e, pertanto, non in grado di costruire una propria identità. Un popolo analfabeta non si riconosce in valori comuni. Su questo processo unitario e identitario hanno assiduamente lavorato, ma quanta attualità vi si riscontra, molte educatrici che, oltre ad aver insegnato a leggere e a scrivere, hanno trasmesso anche ideali di libertà, uguaglianza e unità nazionale.

La lotta per l’emancipazione femminile condotta da molte donne ed estesa in tutti gli ambiti del vivere sociale, sia privato che pubblico è stato un potente esempio di empowerment femminile. Le donne, alcune sacrificando la loro stessa vita, hanno giocato un ruolo cruciale nell’alfabetizzazione del Paese, ma anche nella costruzione e riconoscimento di un ruolo che la donna doveva aveva nella società.  

Le “Maestre di Senigallia”, l’ispirazione montessoriana, il diritto di voto

Non possiamo dimenticare insegnanti come Adele Capobianchi, Carolina Bacchi, Dina Tosoni, Emilia Simoncioni, Enrica Tesei, Giulia Berna, Giuseppina Berbecci, Iginia Matteucci, Luigia Mandolini, Palmira Bagaioli. Le famose Dieci Maestre di Senigallia – di loro se ne parla nel libro Il giudice delle donne di Maria Rosa Cutrufelli – che, ispirate da Maria Montessori nel 1906 hanno richiesto il diritto di voto contribuendo all’affermazione di uno statuto giuridico pieno delle donne.

Le maestre italiane sono state fondamentali, nel corso dei secoli, dando prova di una grande caparbietà, di una determinazione fuori dall’ordinario per innestare il processo di cambiamento culturale, troppo lento in alcune fasi storiche della vita del nostro paese, finalizzato all’ottenimento di una piena parità tra donne e uomini. Parità che sappiamo benissimo non essere ancora raggiunta, purtroppo non solo dalle nostre parti.

Oggi, le donne insegnanti nella scuola statale sono complessivamente circa 580mila su un totale di circa 700mila e costituiscono una fetta importante del corpo docenti a tutti i livelli formativi.  Sono molte le difficoltà che incontrano le insegnanti oggi e il mondo della formazione tutta, ma  il loro ruolo è fondamentale non solo nel percorso di emancipazione femminile, ma  anche alla costruzione di una società sostenibile.

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