Intervistiamo oggi Tomasz Kireńczuk, direttore artistico del Santarcangelo Festival sempre attento a calare l’arte dentro tematiche sociali che da anni vede Luglio come suo terreno di privilegio: Santarcangelo.

Quali sono le novità più significative della 54esima edizione di Santarcangelo Festival? Forse quello della “novità” è un discorso in cui non mi ritrovo particolarmente. Mi piacerebbe più parlare di continuità, sia dal punto di vista storico sia da quello della curatela, un percorso che abbiamo cominciato a sperimentare due anni fa e di cui siamo molto contenti. Sicuramente le tematiche su cui stiamo lavorando, in qualche modo, si ripetono e forse si rinforzano. Sono molto presenti le istanze femministe e riflessioni sul razzismo e l’antirazzismo, al contempo il discorso sul colonialismo e l’ambientalismo sono nel cuore del Festival. Sono questi gli argomenti che artisti e artiste toccano nei loro lavori.

Santarcangelo Festival, dialogo continuo con le artiste e gli artisti

Mi preme sottolineare che per noi è molto importante mantenere un dialogo continuo con le artiste e gli artisti, per esempio Catol Teixeira torna a Santarcangelo Festival per la terza volta consecutiva, questo rappresenta una continuità ma anche una novità, Catol infatti per la prima volta è in programmazione con un lavoro di gruppo, questa rappresenta una delle ragioni per cui abbiamo scelto di presentare un lavoro nonostante non lo conoscessimo, dato che al momento della scelta era ancora in fase di creazione. Oltre a Catol Teixeira, tornano Stefania Tansini e Sara Sguotti, anche in questo caso con lavori che rappresentano un passo in avanti nei loro percorsi artistici. Per Santarcangelo Festival è sicuramente importante far conoscere nuovi progetti che permettono di costruire una prospettiva più ampia e ci sono molti artisti e artiste che vengono in Italia per la prima volta, come Marvin M’toumo, Agata Siniarska, Lukas Karvelis, l’anteprima del lavoro di Dalila Belaza. Nuove proposte ovviamente ci sono mentre, per quello che riguarda la linea artistica, una novità concettuale è sicuramente l’elemento della ritualità che si presenta in molti dei lavori in programma.

Il vostro festival ha sempre dimostrato grande attenzione al rapporto con il territorio: in che termini si declina oggi?
Un altro tema che sentiamo particolarmente è sicuramente quello degli spazi e il modo in cui lavoriamo e ci rapportiamo a essi. Credo che in merito a questo abbiamo fatto dei miglioramenti nel cercare di adattare le necessità del Festival a quelle della città e della natura che inevitabilmente lo circondano: cerchiamo di utilizzare gli spazi così come sono senza fare troppi cambiamenti o interventi. La bellezza che caratterizza questo Festival è proprio quella di saper mantenere un dialogo equo con lo spazio cittadino senza dominarlo, un esempio è il palco che nelle edizioni precedenti era nel Parco Baden Powell e che oggi si presenta diversamente.

Il Festival come integra la questione ambientale all’interno della programmazione artistica e nelle pratiche quotidiane che attua nelle sue attività collaterali? Le questioni ambientali sono presenti nelle riflessioni degli artisti presenti al Festival nel modo più o meno ovvio.
Riguardo le proposte artistiche, Bruno Freire è un artista brasiliano che lavora molto sulla questione ambientale e che presenta due lavori, uno di questi è Life is not useful or it is what it is che parte da un testo di uno scrittore brasiliano di cui Bruno si fa portavoce, Ailton Krenak, sulla relazione uomo-natura, soprattutto dal punto di vista della distruzione della natura da parte dell’uomo. La performance ha avuto luogo nelle rovine dell’ex cementificio Buzzi Unicem che è un luogo molto significativo nei termini del discorso ambientalista. Seconda parte del dittico di Bruno è Matamatá che ci porta invece in un immaginario amazzonico. Anche Agatha Siniarska, una coreografa polacca con base a Berlino, nel suo spettacolo Null&Void prova a immaginare, raccontare e speculare su un probabile futuro dopo catastrofe climatica.

Sostenibilità applicata alla vita quotidiana

Parallelamente portiamo avanti delle pratiche quotidiane che riguardano la sostenibilità. Santarcangelo Festival inoltre  ha ospitato un talk che ha trattato il tema della sostenibilità ma da un punto di vista meno ovvio di quanto si possa pensare, partendo dalla situazione politica all’ordine del giorno: la guerra.
Il punto di partenza è questo: applicare la sostenibilità nella nostra vita quotidiana senza dimenticare che il mondo non è sostenibile se tutto il nostro pensiero è dominato dalla logica della produzione armata. Quindi la sostenibilità, ma sempre in connessione con i percorsi politici attuali.

Credo inoltre che la questione ambientale e quella della sostenibilità abbiano molto a che fare con il modo in cui noi lavoriamo con i spazi. Allora torno sempre allo stesso punto, è una scelta estetica ma anche politica: non costruiamo un palco per 300 persone nel Parco Baden Powell che, più che un costo economico, è soprattutto un costo ambientale. Preferiamo costruire una situazione spaziale più semplice, una struttura in legno su cui gli artisti accettano di presentare le proprie performance senza neanche la luce artificiale e una tribuna più piccola di 180 posti, in questo modo ci adattiamo a uno spazio naturale di per sé forte e dominante. È questo il nostro modo di far convivere un festival con l’ambiente che lo circonda.

Il festival riassume anche i risultati di un particolare laboratorio, lo racconti.
Il Festival in sé è un laboratorio, innanzitutto per questa città che, nonostante sia molto piccola, accoglie nei dieci giorni di Festival pubblico e professionisti del mondo dello spettacolo provenienti da tutto il mondo, che sperimentano lo stare insieme e la condivisione del proprio lavoro. Inoltre, è un laboratorio a cui le cittadine e i cittadini stessi scelgono di partecipare.

Attraverso gli interventi negli spazi pubblici vogliamo promuovere una riflessione più profonda su cosa voglia dire spazio pubblico, su cosa voglia dire stare insieme e confrontarsi con l’altro, essere aperti a proposte e a interpretazioni anche se lontane dalle nostre preferenze. E questo Festival è un laboratorio che fa crescere le sue radici da più di cinquant’anni e non è un caso che nonostante i problemi economici, produttivi e politici riesce a continuare il suo lavoro, anche grazie al sostegno della comunità. Io sono arrivato tre anni fa, vivo qui tutto l’anno e devo ammettere che questo Festival è cresciuto molto grazie al sostegno della città e senza questa non potrebbe esistere, ma al tempo stesso Santarcangelo è cresciuta molto grazie a questo Festival e di questo sono molto convinto.

Due parole sullo spettacolo dedicato al pittore Murillo.
È un lavoro che Claudia Castellucci, artista che amo e stimo molto, porta a Santarcangelo Festival e che viene presentato qui per la prima volta in Italia, è uno studio sull’atto di chiedere l’elemosina. Sottolineo la particolarità di questa performance che è fatta a posta per un gruppo piccolo di spettatori, non più di venti, e che vengono chiamati a girare attorno alla performer, ma che si ripete dieci volte in due giorni rendendolo per questo più fruibile. 

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