La letteratura italiana si è occupata del mondo del lavoro in non molte occasioni, anche se a farlo sono stati scrittori e scrittrici decisamente di rilievo. Negli anni Sessanta, durante il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale, figure come Primo Levi, Ottiero Ottieri, Luigi Bianciardi, Paolo Volponi, Goffredo Parise e Nanni Balestrini, tra gli altri, hanno impegnato le loro penne a descrivere il mondo della fabbrica e i nuovi paradigmi che questo comportava nella vita lavorativa e nella vita privata delle persone.

Più tardi, dopo un periodo di relativo silenzio, sono emersi Vanni Santoni, Michela Murgia, Vitaliano Trevisan, Ermanno Rea, Christian Raimo, Mario Desiati e Silvia Avallone che insieme ai libri inchiesta di Alessandro Leogrande hanno raccontato soprattutto la fine del mondo del lavoro tradizionale, della fabbrica, dei contratti garantiti.

E così, lentamente, la rappresentazione del lavoro è sembrata riguardare esperienze svuotate di senso, se non per chi ne rimaneva imprigionato, tra progressivi impoverimenti e perdita di riconoscibilità sociale.

Lavoro, i nuovi linguaggi

Cosa rimane ora del lavoro? Rimane soprattutto la produzione immateriale. Le nuove tecnologie. I nuovi linguaggi. Il marketing. La comunicazione. Trionfa la parola stucchevole di creatività. Si afferma una figura nevrotica, giovanile, ma non troppo, globalizzata molto milanese di chi è sempre connesso che parla solo in gergo, che ragiona da indivuduo e perde di vista la collettività. Di chi è abituato a sfruttare per fini commerciali e promozionali qualsiasi cosa accada nella società disinteressandosi dei suoi contenuti etici e/o politici. Una vera rivoluzione culturale che tutto ha travolto e che ha riempito di entusiasmo molte menti e molti cuori di chi è cresciuto nell’epoca berlusconiana.

“Gli esordienti”, la storia

Quest’epoca, che ci riguarda molto anche nel presente, non è stata spesso raccontata in Italia nella sua complessità e nella sua dimensione umana più profonda. Ci ha pensato ora uno scrittore esordiente Edoardo Vitale che per Mondadori ha appena pubblicato Gli straordinari (pp 180, euro 18,50).

Il libro semplice e chiaro ma di grande intensità che ci parla della storia d’amore di una coppia come tante che lavora nello stesso ambiente creativo. Sono Elsa e Nico. Li vediamo motivati e affiatati. Coinvolti il giusto ma anche relativamente riservati. Sono colti in momenti di riflessione sulla loro condizione e sul loro futuro, non solo professionale. Li vediamo progressivamente cadere in un disagio sempre più profondo e coinvolgente nel loro impegno lavorativo, specialmente quando assumono incarichi di rilievo nella loro azienda che con un bel gioco di parole, anche se molto semplice, Edoardo Vitale chiama pAngea (Pangea il termine che definisce la terra compatta prima della deriva dei continenti oltre 250 milioni di anni fa). Mentre i due giovani vedono intorno a loro moltiplicarsi gli incendi in una città che brucia, vedono le manifestazioni sempre più numerose degli ambientalisti che invadono le strade e le piazze. Tra loro si domandano se desiderano o no avere figli, questione che non si erano mai posti fino a quel momento. Verso la conclusione il disagio diventa quasi malattia e Nico, esperto di comunicazione diventa dislessico…

Edoardo Vitale

Il romanzo è denso, ha il ritmo giusto ed è molto ben costruito. Fotografa una generazione che vive la nostra contemporaneità. Mentre le pagine ci raccontano le vicende di due giovani adulti non ancora quarantenni, che vivono a Roma ma potrebbero abitare in qualsiasi altra grande città dell’Occidente, scopriamo che manca del tutto il sesso. Manca la seduzione e l’erotismo forse manca addirittura l’amore. Ma le esplosioni finali ci restituiscono un epilogo commovente e pieno di speranze.

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