Rosella Postorino ha un talento (e una sensibilità), particolari nel cogliere e raccontare le situazioni più intense, belle o brutte che siano, che la vita offre anche nelle realtà più difficili e disperate.

Come un cercatore di pepite d’oro sul greto del fiume, Rosella Postorino osserva, sceglie e setaccia.

E’ stato cosi con Le assaggiatrici in cui ci offrì il suo sguardo su un gruppo di donne il cui compito era quello di assaggiare le pietanze di Hitler per evitare che lo avvelenassero.

Ogni giorno era possibile morire e ogni giorno si conduceva una vita tutto sommato addirittura migliore che se queste donne fossero rimaste dov’erano, a casa loro.

Qualcosa di concettualmente poco distante, contando differenze geografiche e temporali, accade con questo ultimo libro dal titolo lirico: Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli, pp 352, euro 19.00).

Questa volta i soggetti dell’osservazione sono bambini, Nada, Danilo, Omar e Senadin scampati al bombardamento del loro orfanotrofio, in Sarajevo nel 1992.

Lo spunto al racconto è un fatto realmente accaduto durante la guerra nella ex Yugoslavia e la letteratura che Rosella Postorino attiva con questo libro, consiste nella scelta di assumersi la responsabilità etica di raccontare quello che nessuno di noi ha potuto vedere e ascoltare: i sentimenti dei bambini che progressivamente diventano adolescenti e poi giovani adulti.

Quando le notizie della guerra e sul destino dei profughi arrivavano nelle nostre case, abbiamo immaginato e dedotto. Certamente abbiamo attivato alcune connessioni logiche, ma quello che ci offre questo libro è molto di più. E’ la letteratura che nel farsi finzione restituisce realtà alle vicende reali. Anche se Rosella Postorino si è documentata in modo attento e puntuale stabilendo rapporti con le persone in questione.

Forte di un incipit di rara intensità, il romanzo ci rappresenta anche la capacità dell’autrice di prendere la giusta distanza da persone e avvenimenti di un’energia bruciante. Lo sguardo di chi scrive è di un distacco partecipato e coinvolto che è difficile riuscire a tenere e a mantenere per tutta la vicenda.

Messi in pericolo dall’incalzare della guerra, i bambini vengono costretti a salire su un bus che li poterà in Italia, in salvo. Molti di loro sono contrari perché non sanno nulla dei loro parenti della loro madre e del padre in guerra. Come faranno a ritrovarsi? Ma il viaggio prende il via. Il pericolo incombe continuamente sulle loro teste.

Lungo il percorso nugoli di giornalisti cercano di seguire e di raccontare gli eventi e non risparmiano neanche i loro visi sporchi di moccio, i vestiti laceri, il pianto e lo sguardo attonito. Molto evidente è come il sonno che li avrebbe ristorati in un ambiente abbastanza protetto assuma invece una condizione di vulnerabilità che mette a dura prova l’equilibrio di tutti.

Finalmente in Italia, i bambini di Sarajevo sono accolti da uno strano comitato di ricevimento: ancora giornalisti vocianti, gruppi di volontari, le suore. In aggiunta una lingua sconosciuta, diversi equivoci e l’impatto con la burocrazia.

Lentamente i piccoli riescono a mostrare i primi segni di ambientamento. Giocano a biglie su una pista bella e grande. Fanno il loro esordio nella scuola italiana.

Senza perdere d’occhio le vicende dei profughi bambini, Rosella Postorino riflette con dolore e preoccupazione sulle vicende terribili della guerra. Sugli stupri e sulle violenze, rilevando come i gesti materiali del sopruso e dell’amore siano identici.

Ma quello che la preoccupa più di tutti è lo strappo, la lacerazione, che avviene dopo ogni maternità. Tutti noi siamo figli e questa condizione non l’abbiamo scelta. Si sceglie di essere madre o padre, marito o moglie ma non si sceglie di essere figli. Nascere significa trovarsi nella dimensione di uno strappo violento che ci separa dal grembo materno e cerchiamo progressivamente di ricucire finché non diventiamo adulti.

Rosella Postorino segue questi ragazzi fino a quando non diventano adulti. L’ultima parte del libro è cadenzata dalle date della loro progressiva integrazione nella società italiana e nella ricostruzione del rapporto con il paese d’origine. Fino a pochi anni di distanza dai giorni nostri.

Nascono altri figli. Nascono nuovi amori. Emerge drammaticamente la questione del suicidio. Il tema del legame tra i ragazzi del gruppo che si sono incontrati inciampando uno nell’altro, rimane sempre centrale. Forse proprio l’amicizia ci offre la strada da percorrere per resistere nel mondo. E vivere.

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