Siamo giornalmente infarciti dai giornali, dalle TV e radio, dai social su ciò che sta avvenendo in Ucraina. Le informazioni sono spesso ripetitive nella loro tragicità: bombardamenti, città distrutte, gente che resta e chi invece scappa. Morti.

Ci informano sulle condizioni dei soldati e sulle loro battaglie. Ci fanno vedere i rifugi, come le persone organizzano la loro quotidianità nei campi improvvisati e ciò che resta delle loro case.

Tutto fa parte di un quadro tragicamente reale. Per noi è uno spaccato della vita… lo viviamo nel momento in cui apprendiamo la notizia, più o meno intensamente, a seconda della nostra empatia. Purtroppo ciò che ci fanno vedere è qualcosa che accade di continuo. Il freddo è reale, il sangue è reale, la paura è reale. E anche la morte e la distruzione lo sono.

C’è un ulteriore drammatico aspetto che viene trascurato, quando invece dovrebbe essere urlato: la violenza sessuale di massa usata come arma di guerra.

E’ stata la tesi di laurea della Dottoressa Sara Pesce, dettagliata e sconvolgente, ad aprirmi orizzonti su ciò che è accaduto nell’ultimo secolo in tema di violenza sessuale come arma, grazie ad una ricca bibliografia.

Considerare la violenza sessuale, durante una guerra, come uno sfogo di giovani bruti, che occasionalmente si accaniscono sulle donne di tutte le età, è un grave errore. Va invece considerata per quella che è: una vera e propria strategia militare per distruggere colei che genera e che  rappresenta il simbolo della trasmissione dei valori e della tradizione. (Anche  in questa guerra in Ucraina droghe e farmaci per aumentare le prestazioni sessuali sono somministrate abitualmente ai soldati russi).

Tra i testi analizzati da Sara Pesce c’è una vera e propria indagine a vasto raggio sulla criminalità sessuale negli ultimi 150 anni, dal titolo Stupro: storia della violenza sessuale dal 1860 a oggi (edito da Laterza) scritta da Joanna Bourke in cui si analizza il significato della parola stupro con un agghiacciante approfondimento storico del fenomeno dal 1860 ad oggi.

L’obiettivo della violenza sessuale è sottomettere, umiliare, annientare, e talvolta, paradossalmente, ricostruire: far nascere una nuova generazione pura con folli ed errate idee di eugenetica ricorrendo a pratiche di procreazione forzata.

Alla base di queste ideologie c’è la completa ignoranza di nozioni di genetica basilari, note dal 1800. C’è la convinzione che il seme maschile basti a trasmettere tutte le caratteristiche nei nascituri. La donna perde la sua identità e rappresenta il campo di battaglia che i soldati hanno l’obiettivo e il dovere di penetrare e sottomettere.

C’è un altro libro, a cura di Simona La Rocca, Stupri di guerra e violenze di genere (Ediesse) Roma 2015 che affronta il tema della violenza sessuale nei conflitti armati usata come arma per annientare le donne del nemico e la comunità di appartenenza.

Un altro interessante studio, frutto di una ricerca durata tre anni, è stato scritto da Marcello Flores, dal titolo Stupri di guerra. La violenza di massa contro le donne nel Novecento, Franco Angeli, Milano 2010, in cui si parla del riconoscimento da parte del Tribunale Internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia, dello stupro come crimine di guerra.

Le donne vengono violentate, rese schiave sessuali, seviziate e mutilate. Questo fenomeno è una strategia militare molto spesso ordinata dai comandi degli eserciti in lotta. Se ne conosce quindi molto bene la potenza. Il danno alle donne e alle comunità è permanente. Non stiamo parlando di episodi: stiamo parlando di numeri impensabili di abusi.

Ci sono delle testimonianze storiche circa le comfort women,cioè donne messe a disposizione dei soldati forzatamente, che sono ripetutamente abusate, fino a 30 volte al giorno. Tenute in condizioni igieniche e sanitarie orribili. Molte muoiono per le infezioni trasmesse oppure si suicidano.

Nell’ultimo secolo non ci sono state guerre ed eserciti che non abbiano messo in atto questa strategia.

Dal 1915 (ad opera dei turchi nel genocidio degli armeni), nella seconda guerra mondiale (le donne ebree ma anche nel frusinate ad opera degli eserciti alleati). E più recentemente in Afghanistan, Cambogia e Vietnam, Cipro, Somalia, Croazia, Serbia, Rwanda… ovunque.

Il Rwanda ha rappresentato una delle peggiori espressioni di questo fenomeno odioso, sia per la velocità con cui è avvenuto sia per la crudeltà, sia per l’elevato numero delle vittime. Parliamo di 1 milione di vittime in 100 giorni (10 mila al giorno). Le vittime di violenza sessuale si è stimato siano state tra le 250 e le 500 mila.

L’etnia più colpita fu quella dei Tutsi ma vennero aggredite anche le donne Hutu, accusate di collaborazionismo. Il progetto era lo sterminio, sistematizzato e ritualizzato: tortura e massacro degli uomini e poi lo stupro delle donne, la tortura, le mutilazioni e l’uccisione.

La trasmissione delle malattie fra cui l’AIDS e le malattie veneree hanno fatto il resto. La crudeltà è indicibile e si accanisce soprattutto sulle donne in stato di gravidanza che prima di essere uccise vengono sottoposte a sventramento e i loro feti sezionati.

Per molti anni la comunità internazionale non ha dato la giusta rilevanza a questo orrendo crimine. Solo negli anni ’90, con la creazione dell’International Criminal Tribunal for the Former Jugoslavia e dell’International Criminal Tribunal for Rwanda, lo stupro di guerra viene riconosciuto come crimine contro l’umanità.

E’ proprio di questo che parla Karima Guenivet in Stupri di guerra (Luca Sossella Editore) con una approfondita ricostruzione storica di ciò che è accaduto nelle guerre etniche e religiose in Algeria, Rwanda e Bosnia.

Finalmente lo stupro non è più considerato solo un’offesa all’onore delle vittime ma un reato contro una persona appartenente ad una comunità che si vuole annientare. Non c’è più da parte delle vittime l’obbligo processuale di dimostrare quanto ha subìto. Né di confutare la presunta consensualità, né giustificare la precedente condotta.

I vari processi che si sono succeduti per i crimini commessi durante la guerra serbo –bosniaca hanno portato a dei progressi nel campo del riconoscimento dei crimini. Con lo Statuto di Roma del 1998 tra i crimini contro l’umanità oltre allo stupro, viene considerata anche la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata.

Questo riconoscimento dà alle vittime  forza di testimoniare, raccontare e ricostruire.

E gli aguzzini? La difficoltà di ritrovare gli autori e chi ha ordinato le violenze è costantemente un ostacolo alla giustizia. In confronto ai reati le pene applicate sono esigue. Molto poco si è fatto per proteggere e aiutare le donne che spesso hanno continuato la loro esistenza vicino ai carnefici, nella vergogna e nell’emarginazione.

Insieme alle donne le altre vittime sono i figli nati da queste violenze. Alcune abortiscono e molte di queste clandestinamente. I neonati vengono abbandonati e altri uccisi. Pochissimi i figli accolti nelle famiglie così terribilmente colpite dalla violenza. E questi giovani, nati per la follia di alcuni, avranno per sempre su di loro questa eredità.

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