“Abbiamo lanciato la più vasta campagna legale contro l’ideologia gender in Italia, notificando circa 150 diffide ad altrettante scuole che hanno approvato la cosiddetta carriera alias per “alunni transgender” su pressione del movimento LGBTQIA+”,

così tuona dalle pagine del loro sito web Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus.

Ma cosa è la carriera alias? Si tratta di una procedura informale, applicata nei percorsi scolastici e accademici come nel mondo del lavoro, molto semplice da attuare, che prevede la possibilità di modificare il nome anagrafico con quello di elezione, scelto dalla persona trans, negli elenchi e in tutti i documenti interni aventi valore non ufficiale.

Il Movimento Pro Vita & Famiglia ci legge, invece, una azione studiata a tavolino per diffondere l’ideologia gender e

“consolidare una auto-percezione soggettiva spesso temporanea, che può portare ad assumere farmaci ormonali per il blocco dello sviluppo sessuale o addirittura operazioni chirurgiche anche irreversibili non prive di gravi problematiche per la salute psicofisica dei giovani”.

Astraiamoci un secondo però dalla battaglia di Pro Vita e andiamo a fondo sulle ragioni della carriera alias.

Possiamo dare per scontato ed acquisito che esista una condizione chiamata disforia di genere che riguarda alcune persone e che consiste nel non vedere conciliati la propria identità di genere e il proprio sesso bologico di nascita.

Questa condizione, per la legge italiana, deve essere diagnosticata da medici specialisti per poter iniziare il percorso di transizione che, ricordiamo, in Italia è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria e, quindi, non può avvenire per autonoma decisione della persona o della sua famiglia.

In Italia, nonostante si possa pensare altrimenti, siamo stati, in questo campo, pionieri. L’ordinamento italiano è stato, infatti, uno dei primi a fornire una disciplina del procedimento di rettificazione del sesso mediante l’introduzione della Legge 14 aprile 1982, n. 164, che oggi come oggi avrebbe necessità di un adeguamento, che riconosce alla persona transessuale di ottenere la modifica del sesso attribuito alla nascita e riportato nei registri anagrafici.

Fatta questa doverosa premessa, a cosa serve, quindi, la carriera alias? E’ un viatico legale alla transizione di genere? Abbiamo visto di no perché l’iter legale è estramente complesso e controllato.
E’ semplicemente una procedura, ricordiamo informale, che offre la possibilità, a chi lo desideri, di poter vedere riconosciuto socialmente la propria identità di genere anche prima della eventuale sentenza del tribunale che attesti ufficialmente la possibilità di rettificare l’identità anagrafica in maniera definitiva.

Insomma, un modo per consentire alle persone transgender di vivere più serenamente la loro transizione e di non dover fingere nei contesti extra-famigliari quali scuola, università e lavoro.

La diffida alle scuole da parte di Pro Vita ha scatenato la protesta della comunità LGBT+ e, in particolare, ovviamente delle associazioni di persone transessuali e dei loro famigliari.

Perché la carriera alias è legittima

Antonio Rotelli, già presidente della Rete Lenford, avvocatura per i Diritti LGBT+, e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Udine, ha recentemente pubblicato un articolo in cui evidenzia, attraverso la citazione di numerose sentenze, la legittimità della procedura e l’infondatezza della diffida di Pro Vita alle scuole.

Rotelli dimostra, con il suo punto di vista di giurista che da anni studia questi temi nell’ambito dell’ordinamento scolastico, che la diffida di Pro Vita andrebbe non solo contro la Costituzione Italiana, ma anche contro l’Agenda 2030 dell’ONU, che ha tra i suoi obiettivi anche quello di includere le differenze e valorizzare l’unicità di ogni studente «non lasciando nessuno indietro».

Vorrei fare un piccolo passo indietro per ricordare che la carriera alias nelle scuole non è spuntata dal nulla ma è stata promossa attraverso un’iniziativa delle associazioni di genitori di persone trans, in particolare Genderlens e Agedo, a partire proprio dall’esperienza profonda di vita maturata nel rapporto genitore-figlio.

Oltretutto nella scuola italiana non esistono ancora linee guida ministeriali nazionali per poter attivare la carriera alias (una delle richieste delle associazioni di genitori) e attualmente resta uno strumento attuato a seconda della sensibilità della dirigenza scolastica, con effetto quindi di accessibilità a macchia di leopardo.

La diffida di Pro Vita sembra ignorare del tutto la competenza esistenziale delle persone transessuali e delle loro famiglie.

Genderlens ha replicato duramente alla iniziativa di Pro Vita, intimando di mettere “giù le mani dalla carriera alias”, e ricordando come

la carriera alias faccia parte di un processo di riconoscimento sociale, completamente svincolato da pratiche mediche mirate a modificare il corpo della persona, i cui benefici sono ampiamente descritti, da più di un ventennio, dalla letteratura scientifica che si occupa di salute delle persone trans più giovani”.

Genderlens ha inoltre fatto presente come sia funzionale alla creazione di un ambiente scolastico scevro da fenomeni di bullismo transfobico e allineato ai valori dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità.

Ricordo anche che le battaglie che alcuni movimenti fondamentalisti hanno portato avanti nel corso degli ultimi 10 anni evocando la cosiddetta ideologia gender hanno spesso avuto come unico effetto quello di impedire che a scuola si potessero affrontare serenamente percorsi di conoscenza sulla diversità, anche di orientamento sessuale e identità di genere.

La comunità LGBT+ si è raccolta in un comunicato stampa, sottoscritto dalla maggior parte delle associazioni nazionali e locali, in cui chiedono tutele al Ministro Valditara al grido di “Vogliamo la carriera alias in tutti gli istituti scolastici di tutto il territorio nazionale!”.

Il mondo del lavoro, invece, già da molti anni ha adottato delle buone pratiche sulle carriere alias in azienda,su sollecito di Parks-Liberi e Uguali, l’associazione che raccoglie oltre 100 tra le aziende presenti sul territorio nazionale. Anche in questo caso, però, la diffusione delle pratiche avviene non su base di diritto ma sulla buona volontà e disponibilità della singola azienda.

La possibilità offerta dalla carriera alias

La carriera alias, oltre l’immaginario che evoca, andrebbe ricondotta a una sostanza molto semplice: quella di offrire una possibilità alla persona di vedere riconosciuta la propria identità sociale, senza intaccare le fondamenta legali dell’identità che, nel caso della transizione, viene modificata solo a seguito di sentenza.
Cosa preoccupa in questa possibilità?

Ritorniamo alla sostanza: caliamoci in una storia ipotetica, quella di Margherita, adolescente in transizione da maschio a femmina. Margherita arriva alle medie, proponendosi con la sua identità esteriore femminile e si fa chiamare con il suo nome desiderato. La carriera alias le consentirà di poter essere chiamata Margherita da professori e compagni e di non dover rispondere ad imbarazzanti appelli in cui figura con il suo nome maschile. Impedire questa possibilità, come vorrebbe Pro Vita & Famiglia, che effetti porterebbe a Margherita? Sicuramente non cambierebbe la percezione di sé che rimarrebbe quella di essere Margherita. Ma altrettanto sicuramente minerebbe la sua sicurezza la sua capacità di relazione sociale.

Margherita, però, non viene comunque invitata alle feste di compleanno dei compagni. E questo non ha purtroppo nulla a che fare con la carriera alias e neanche con i suoi professori. A non invitarla sono i genitori dei suoi compagni e la conseguenza poggia sul fatto che siamo ancora molto lontani dall’avere consolidata in Italia una cultura dell’inclusione e che la diversità fa paura, tanta paura.

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