Che fine ha fatto lo smart working? Diventato una necessità durante la pandemia del 2020, quando molti paesi hanno adottato politiche di contenimento del virus che prevedevano la chiusura degli uffici per ridurre al minimo i contatti tra i lavoratori, si è allargato fino a diventare quasi una regola, e qualche caso una moda, alla fine dell’emergenza.

Creando un pericoloso equivoco: che il lavoro a distanza fosse sempre smart per il solo fatto di essere a distanza, senza invece calcolare che un’occupazione è davvero smart, cioè intelligente, quando riesce si a coniugare la possibilità di avere più tempo libero ed effettuare meno spostamenti, ma senza compromettere la produttività, e quindi il successo del proprio impegno e quello dell’azienda che lo retribuisce.

Il rigetto dello smart working

Esplosa la bolla, adesso per il lavoro a distanza è iniziata la ritirata, e la gente rientra negli uffici a ritmo crescente. Il processo in parte è guidato dal rigetto per l’ideologia woke, che troppe volte ha associato anche questa innovazione a quei cambiamenti culturali e sociali imposti e diventati spesso insopportabili fardelli da portare per non sembrare nemici della modernità.

Il neo presidente americano Donald Trump è un alfiere del rigetto dello smar tworking. Probabilmente usando la chiave degli eccessi accertati sulle assenze dal lavoro, Trump ha firmato un ordine esecutivo con il quale abolisce negli uffici federali la settimana corta e impone il ritorno in presenza per 5 giorni a settimana. Di fatto, Trump coglie i classici due piccioni con una fava: cancella lo smartworking e suggerisce (quasi ordina) agli impiegati federali in disaccordo di abbandonare il posto saranno sostituiti da impiegati più fedeli alla nuova amministrazione.

Le grandi aziende Usa in parte hanno anticipato Trump, in parte lo hanno prontamente seguito accodandosi all’ordine esecutivo. Il primo a muoversi, mesi fa, è stato ovviamente Elon Musk, reale ideologo di Trump, che ha riportato in ufficio tutti i dipendenti di Tesla; poi sono arrivate le catene della grande distribuzione Usa, capitanate da WalmArt. Infine, a valanga, ha ceduto la finanza, con il sugello finale della JpMorgan-Chase, la regina delle banche di investimento, che ad inizio di gennaio ha comunicato ai dipendenti che dovranno tornare in ufficio: in cambio, sale yoga e spazi per la ciclette.

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E l’Italia?

Anche l’Italia sta cambiando orientamento, sebbene sia necessario osservare che la tendenza non riguarda tutte le imprese. L’osservatorio del Politecnico di Milano ha rilevato che a tornate indietro sono soprattutto le piccole e medie imprese e la Pubblica amministrazione, mentre molte grandi e altre realtà innovative resistono. E’ il caso di Luxottica, che ha istituzionalizzato una settimana più corta in accordo con i sindacati dei lavoratori, e di Ucb, di cui abbiamo recentemente pubblicato un’intervista l’amministratore delegato, che ha scelto di accelerare sul fronte della flessibilità. anche nella Pubblica amministrazione ci sono realtà che proseguono nella scelta del smart working, come sta facendo la Sace, dove l’analisi degli effetti del lavoro a distanza e flessibile sono certificati dal Politecnico di Milano.

La realtà è che il mondo del lavoro è ancora diviso tra una visione tradizionalista e di controllo del dipendente e una più concreta che misura gli effetti della flessibilità sulla produttività finale: non tutti sono in gradi di organizzare, specialmente nelle Pmi, un sistema che certifichi i risultati raggiunti.

Per l’Italia conforta pensare che anche in paesi che fanno del lavoro una religione totale si procede a scatti in avanti e ad inversioni, a seconda degli obiettivi da raggiungere. In Giappone, alle prese con una grave crisi demografica, il governo dell’area metropolitana di Tokyo ha annunciato un mese fa di voler attuare la settimana lavorativa di soli 4 giorni, per permettere ai lavoratori di stare di più con la propria famiglia. La novità ha stimolato Singapore, città-stato di work addicted, a pensare di fare altrettanto. A poca distanza la Corea del Sud ha definitivamente abbandonato, dopo che il governo è stato subissato di proteste, il progetto di portare la settimana lavorativa a 68 ore, e si sta orientando per una settimana corta di 4 giorni con un aumento degli straordinari in cambio di un weekend libero di ben tre giorni, o di due giorni e mezzo se il lavoro termina alle 13 di venerdì. La strada non sarà breve, ma il destino sembra tracciato. Ma un punto fermo ormai nel mondo c’è: il lavoro deve essere davvero smart. C’è da studiare bene come farlo.

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