Il dato dell’alto astensionismo dei votanti alle recenti elezioni europee (poco più di uno su due degli aventi diritto) porta a un’ulteriore riflessione che vede coinvolta anche la scuola, sebbene il collegamento possa sfuggire a una prima analisi.

Invece la correlazione appare sempre più rilevante nel corso degli ultimi decenni, perché purtroppo il numero dei non votanti è in costante crescita, specialmente in Italia. Molte persone non vanno a votare perché non nutrono fiducia nelle istituzioni e si fanno altresì condizionare da notizie false o non attendibili.

Saper leggere le notizie.
Il ruolo della scuola

Su entrambe le questioni, il ruolo della scuola è cruciale; con maggior peso, per quanto riguarda il modo di saper leggere le notizie.

A tal proposito, io credo che nei nostri istituti educativi debba essere rafforzata l’alfabetizzazione mediatica, partendo dalla consapevolezza che oggi i giovani utilizzano come prioritaria fonte di conoscenza i social network, e non libri o giornali.

È necessario perciò che sia il corpo docente, sia il mondo degli adulti si avvicinino con maggior coraggio a tutti quei social, magari meno conosciuti, che animano lo scambio delle conoscenze tra i giovani in Europa, senza stigmatizzarli né condannandoli in modo aprioristico.

La questione non riguarda infatti solo l’Italia: soprattutto in alcune grandi realtà nazionali continentali, l’estrema destra ha acquisito nella recente tornata elettorale grandi e crescenti consensi sfruttando la comunicazione su social come Tik Tok, Instagram e Telegram e non solo.

La Germania ne è un esempio non certamente felice: dopo le elezioni del 9 giugno 2024, tutta la mappa elettorale tedesca ha visto in modo paradossale il ritorno di un muro a dividerla ancora, specialmente con la parte orientale investita dal successo del partito neonazista.

Lo racconta bene la puntata del podcast Fuori da qui (Chora Media) condotto da Simone Pieranni e per l’appunto intitolata Giovanissimi, europei e nazisti.

Le elezioni francesi, eccezione
che conferma la regola

Anche la Francia ha appena vissuto un momento della paura perché ieri, domenica 30 giugno 2024, si sono tenute le elezioni per rinnovare l’Assemblée, dopo lo scioglimento voluto dal presidente Macron in seguito ai risultati del 9 giugno scorso, per fronteggiare il notevole balzo in avanti del Rassemblement National. Come non era capitato da più di quarant’anni, in questa occasione l’affluenza non è mai stata così alta per votazioni che riguardavano tutti i cittadini francesi.

Allo stato attuale delle conoscenze (considerando che si è votato ieri e che ci sarà comunque il doppio turno di queste elezioni), non è facile dare giudizi certi ma alcuni dati restano innegabili.

Il primo riguarda il disinteresse dei giovani francesi per la storia, nonostante la nascita di un Nuovo Fronte Popolare delle sinistre, sorto proprio in contrapposizione al Rassemblement e che si richiama al Fronte Popolare degli anni Trenta, che per primo introdusse le 40 ore settimanali di lavoro e soprattutto le ferie pagate. Il punto è che, a questa tornata elettorale, l’alto numero dei partecipanti si presenta o per un voto contro oppure per un voto per, e questo non è mai un buon segnale per la democrazia.

Il secondo dato che emerge è quello della grande paura: la polarizzazione nell’intero territorio transalpino è quello tra un microcosmo dei piccoli paesi, terrorizzati di veder la scomparsa dei servizi pubblici dalle loro regioni, e il macrocosmo delle grandi aree urbane, a loro volta angosciate da una possibile perdita delle loro conquiste in termini di diritti civili e, in generale, di società aperta.

O non si vota o si accorre al voto

In conclusione, anche in questo caso c’è un elemento in comune a tutte le derive ideologiche del continente: o non si vota come forma di protesta (e poi ci si lamenta di chi sale al governo) oppure si accorre al voto (come ieri in Francia) cercando di inseguire un qualsiasi movimento populista (che cambia anche radicalmente di nazione in nazione per le idee e per le proposte avanzate) con in comune una fortissima tendenza anti-establishment (che in Francia equivale a una protesta anti-Macron).

Dunque, la scuola in quest’ottica diventa un baluardo fondamentale, di fronte a una certa deriva ideologica che le elezioni europee hanno recentemente attestato e che i vari paesi hanno rielaborato ciascun con reazioni differenti.

La scuola deve rafforzare le competenze di comprensione del testo, come si sa deficitaria dalle rilevazioni Invalsi; ma deve al contempo rafforzare l’alfabetizzazione visiva (come saper leggere correttamente le immagini, i simboli e pure i fumetti) e puntellare la ricerca di fonti attendibili e serie quando si vogliono acquisire le notizie, specialmente se queste hanno nel web il loro centro di irradiazione.

Gli studenti devono saper gestire in modo consapevole lo smisurato patrimonio della rete, riconoscendo le vere fonti e smascherando tutti quei canali di trasmissione dei contenuti che adoperano appositamente le fake news per manipolazioni e per il raggiungimento del potere.

Ce lo ricorda ancora una volta la Finlandia, i cui primati nell’ambito dell’istruzione europea sono ampiamente riconosciuti a livello internazionale ma che, sulla base dei recenti dati delle Open society foundations, si mostra pure ai primi posti per l’insegnamento ai propri giovani delle tecniche per denunciare la notizie false che prosperano in rete.

In conclusione, a leggere bene questi fenomeni, non c’è nulla di nuovo da un punto di vista sostanziale, perché, oggi come in passato, una buona formazione personale continua a essere il miglior anticorpo per combattere l’analfabetismo cognitivo e visivo; ma c’è anche qualcosa di completamente nuovo perché è necessario aggiornare i metodi di insegnamento per rendere le generazioni di oggi e di domani sempre più immuni dai pericoli estremistici di qualsiasi origine e per saper filtrare, con il giusto piglio critico, le migliaia di informazioni a cui siamo sottoposti ogni giorno.

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