Il caso “pandoro”. Molto tempo fa mi recai al direttivo di un cliente che voleva farmi fuori perché disturbato dal mio modo di vestire. Ovviamente lorsignori si prodigarono in pretesti, ma ce ne fu uno che mi colpì più degli altri:

«Sei vecchio».

Si noti bene, a quei tempi non avevo ancora cinquant’anni, mentre l’autore di questa primizia ne aveva sessantatré.

Fu una distonia che sul momento – lo confesso con vergogna – non trovai impropria, e che tuttavia continuò a ronzarmi in testa per mesi, quasi a reclamare un supplemento d’attenzione. Ste, mi chiedevo, sei davvero sicuro che abbia ragione?

Uscii dalle mie nebbie con gradualità e oggi posso rispondere che non aveva ragione per niente. Non ero vecchio, né anagraficamente né esistenzialmente. Nulla di ciò che facevo lo era. Sappiamo bene cosa significhi innovare: essere se stessi. Dare del vecchio a uno come me equivale a dare della silfide a un obeso, o a chiamare bianco il nero.

Perché dunque, fra le tante scuse che poteva scegliere, costui optò proprio per la più assurda? E ancora, perché me la bevvi?

Risposta: perché siamo due boomer

Già l’ho scritto nel precedente articolo, chiedo scusa per la ripetizione ma ne vale la pena: a spanne, i nati dopo il 1955 sono i primi ad avere meno soldi dei loro genitori. I primi in due secoli. Ben triste record. L’eccesso di benessere ci ha dato alla testa, togliendoci la forza di sfidare il futuro per crearcelo migliore, e adesso, a danni fatti, viviamo il nostro esserci ripiegati sul presente come una colpa capitale.

A cavallo degli anni Dieci accadde una cosa che molti di noi hanno vissuto come il Grande Riscatto: l’esplosione dei social media. L’arrivo dei linguaggi digitali. Lo stravolgimento di modalità di contatto plurisecolari. Fu l’agognata occasione per dimostrare che l’anagrafe mentiva e che a noi tutti veniva dato di tornare giovani e giocarci mille nuove possibilità. Bastava infilare hashtag ovunque, postare su Twitter un minuto sì e l’altro pure, sostituire Manzoni con Sferaebbasta, Pascoli con Lazza, Leopardi con J-Ax.

Quest’isteria – ben sintetizzata dal professor Crepet quando lamenta che i genitori oggi vogliono essere più giovani dei figli – ha creato numerosi cancri sociali, su tutti una generazione priva di riferimenti e dunque allo sbando (gli adolescenti di oggi), ma ai miei fini spiega per quale motivo persino io, che vecchio non ero e non sono mai stato colpito dall’ossessione dei social, ci sia cascato.

“Il vaso di Pandoro…”, parla di noi

Avrete capito dove voglio arrivare e cosa c’entrano i pandori. Ho letto il libro di Selvaggia Lucarelli Il vaso di Pandoro–Ascesa e caduta dei Ferragnez (edizioni PaperFirst) e ritengo, come del resto la stessa autrice riconosce, che più che raccontare la parabola di Chiara Ferragni parli di noi.

«Potevamo accorgercene prima?»,

si domanda un mio contatto su Linkedin.

«Beh, qualche segnale in passato c’è stato. Non so se io affiderei l’immagine del mio brand a una coppia che per un compleanno affitta un intero punto vendita Carrefour e prende a calci la frutta… ma forse sono io che appartengo a un’altra generazione».

Anamnesi e diagnosi azzeccate alla lettera: è un Millennial, privo dei complessi d’inferiorità di boomer e di gran parte della generazione X.

Se c’è una cosa che ha distinto e distinguerà per sempre i miei coetanei, ebbene questa è l’adesione acritica al digitale e ai suoi riti. In molti, ricordo bene, provammo un’istintiva ripulsa a quella scena, ma subito la archiviammo fra i retropensieri di una presunta sottocultura analogica, segnale di vecchiume da superare e anzi da bandire, e aderimmo a un mainstream che in fondo tale non era perché tipico soltanto di noialtri, ossia il mantra

“questo è il futuro, se non lo capiamo è colpa nostra”.

Il problema è che il potere decisionale l’abbiamo noi. Non i Millennial. Siamo noi gli amministratori delegati, i direttori generali, i direttori marketing and so on. Non i quarantenni. E noi, con le nostre fissazioni junghiane, non abbiamo trovato di meglio che tradurre il mantra in stanziamenti miliardari, salvo poi ritirarli alla velocità della luce non appena il vento è mutato, a riprova della leva totalmente irrazionale che ci ha mossi sino a qui.

Potessi, renderei obbligatoria la lettura di questo saggio sul caso “pandoro” a tutti quelli che oggi si ritrovano intorno ai sessant’anni. È uno specchio sul nostro passato, uno squarcio sulle coscienze. Una sorta di spada di Shannara che, come nell’omonimo capolavoro fantasy di Terry Brooks, costringe chi la impugna a vedere e ad accettare la verità su se stesso.

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