Descriverla come visionaria, surrealista e anticonformista è sempre corretto, ma anche piuttosto limitante. È arrivato il tempo di riscoprire l’artista Leonora Carrington e di osservarne l’arte sospendendo qualche etichetta e magari adottando uno sguardo più prismatico (difficile trovare aggettivo migliore). Nel prisma nulla è statico e la realtà viene illuminata da così tanti colori e ottiche diverse da rivelare aspetti sempre nuovi.

Se conoscete già quest’artista classe 1907 nata nel Lancashire e morta nella sua terra d’elezione, il Messico, e voleste ripercorrere la sua produzione, non fatevi scappare il saggio della scrittrice Elvira Seminara, Leonora Carrington (Giulio Perrone editore, collana Le Mosche d’oro diretta da Nadia Terranova).

Ma se anche Leonora Carrington dovesse giungervi nuova, la breve ma densa opera di rilettura firmata da Elvira Seminara sarebbe necessaria per comprendere come mai il talento di quest’autrice può essere considerato senza tempo e persino contemporaneo.

La sua capacità di mescolare corpi umani a corpi animali, di ibridare creature terrestri e marine, di evocare energie visibili e invisibili, e di creare figure femminili che di certo non rappresentano l’idea di donna musa dei surrealisti (il padre del Surrealismo, Max Ernst, fu il suo maestro e il suo primo compagno di vita) oggi la definiremmo fluida.

Perché Eleonora Carrington non conosce steccati nelle forme e nella percezione della realtà. Come nei sogni, come nel baratro del nostro essere.

On the house opposite, 1945 (Leonora Carrington)

Il proto femminismo di
Leonora Carrington

Nel riscrivere legami di vita, nel cucire tra loro opere e poetica di Leonora Carrington, Elvira Seminara apre a nuove possibilità anche per comprendere quanto pesò il suo proto femminismo e quanto la sua capacità di leggere la vita al di fuori di ogni confine imposto, risulti ancora potente. 

Il manifesto pittorico e narrativo Leonora Carrington inizia a scriverlo sulla propria carne, sin da bambina, da vorace lettrice di Carroll e di Swift. La formazione nei rigidi collegi cattolici unita alle storie della tata e della nonna irlandese probabilmente fecero il resto.

Leonora Carrington è dea delle rotture. Ha cominciato da bambina, insofferente all’educazione borghese colma di agi e divieti – inflitti in quanto femmina, artista e altolocata – e non ha più smesso. Spezzare le catene, soprattutto del senso comune, o della logica, è stata la sua vocazione, il gesto più intimo e naturale.

“Ognuno di noi” dice Carrington “ha il suo bestiario interiore”

La sua genealogia viene da lì, dalle creature animali che già la attraevano, bambina, allo zoo. E che sole possiedono anima, intelligenza e libertà, come le piccole persone – cioè bestiole, cuccioli, animali selvatici – care ad Anna Maria Ortese.

C’è molta affinità con Ortese anche in questo pensiero, espresso da Carrington in un articolo su «El Periódico» del 1996.

 “Se gli dei esistono, non credo che abbiano forma umana, preferisco pensare a divinità con l’aspetto di zebra, gatto o uccello”.

Il gioco di rispondenze
tra pittura e scrittura 

Elvira Seminara smonta e rimonta la vita e la creatività dell’autrice e offre una delle chiavi più importanti per comprenderla a fondo:

“gli stessi elementi compositivi sono presenti nelle due versioni, pittorica e narrativa, ma il gioco di rispondenze potrebbe prestarsi a tutta la sua opera. Come non ci fosse alcuna distinzione, per lei, tra le cose scritte e quelle dipinte, tempera o olio che sia. Mi pare che anche qui, come in tutta la sua produzione, ci sia differenza piuttosto nel timbro: pur affrontando lo stesso soggetto, Leonora è più leggera e scanzonata, più ironica nei racconti. Nei dipinti invece domina il tono spettrale l’allegoria, la rappresentazione scenica. E quel tono di gravità fatale, di oltranza”.

Negli anni Settanta furono ad esempio pubblicati Il cornetto acustico – leggetelo e incontrerete Marion Letharby, novantanovenne, munita di un imponente cornetto acustico tempestato di argento e madreperla, che viene introdotta dal bisnipote nella Confraternita del Pozzo di Luce – e La debuttante, una serie di racconti horror fantastici che scorrono tra festini frequentati da iene, esseri piumati, animali in grado di parlare, cannibali e tanto altro. 

Ma nel 1945 Leonora Carrington racconterà la sua esperienza in manicomio nel memoir Giù in fondo (in Italia uscito per Adelphi), dove “racconta il proprio deragliamento psichico senza remore e infingimenti”.

Mentre i suoi demoni interiori diventeranno fiabe coloratissime e lievi per i propri figli ne Il latte dei sogni. Intanto porta avanti la sua visione del mondo dove “la magia è un diritto, non un gioco. Ed è relazione col mondo, non fuga”. 

Condividi: