Ucraina e Gaza: la stessa cecità. Nell’ottobre 2022, in un articolo intitolato I no-pax e la catastrofe etico-politica della guerra avevo analizzato il modo in cui una certa sinistra liberal, di fronte alla guerra in Ucraina, avesse smarrito ogni capacità critica, arruolandosi nella propaganda bellicista e trasformando il pacifismo in una colpa morale.

Oggi quello schema si ripresenta, forse in forma ancora più deformata e tossica, nel conflitto israelo-palestinese. Si tratta degli stessi ambienti – editorialisti, opinionisti, militanti delle aree “democratiche” – che si danno arie di esperti di geopolitica e strategia militare, pronti a deridere chiunque metta in discussione la versione ufficiale dei governi occidentali. Questi soggetti, che potremmo definire No PAL, rappresentano l’ennesima manifestazione di un fenomeno politico e culturale che rischia di trascinare la sinistra in una deriva reazionaria irreversibile, in totale complicità con l’ordine imperiale statunitense.

I No PAL, il giustificazionismo

I No PAL applicano alla Palestina lo stesso paradigma già utilizzato per giustificare la guerra per procura contro la Russia: ogni voce critica viene ridotta a “propaganda del nemico”; ogni tentativo di comprendere la storia del conflitto è bollato come “giustificazionismo”; ogni appello a una soluzione politica è liquidato come “ingenuità”. Ma qui l’operazione ideologica compie un passo ulteriore: Hamas viene identificata con l’intero popolo palestinese, cancellando la distinzione tra un’organizzazione politico-militare e milioni di civili che da decenni subiscono occupazione, apartheid, embargo e bombardamenti. In questo schema, i palestinesi sono ridotti a una massa indistinta di “terroristi” o di “complici del terrorismo”. Se vengono uccisi, è perché “se la sono cercata”.

L’altro aspetto inquietante di questo paradigma è il completo capovolgimento epistemico che lo accompagna, quello che Davide Fiamminghi chiama senza mezzi termini “negazionismo”. I No PAL rigettano aprioristicamente ogni notizia che provenga da Gaza: le immagini di ospedali distrutti, i video di bambini sepolti sotto le macerie, le denunce di organizzazioni umanitarie – tutto è “propaganda di Hamas”. Ogni dato sulle vittime civili è “gonfiato”, ogni testimonianza è “messa in scena”. Allo stesso tempo, però, accettano senza la minima verifica ogni comunicato dell’esercito israeliano, ogni video diffuso da Tel Aviv, ogni narrativa ufficiale come se fosse una verità incontestabile.

Il cortocircuito ideologico dei No PAL

Questo cortocircuito ideologico si è mostrato con evidenza negli ultimi mesi: le stesse agenzie delle Nazioni Unite che i No PAL invocavano per giustificare la guerra in Ucraina – considerate fonti “indipendenti” e “autorevoli” quando denunciavano crimini russi – vengono ora accusate di essere al servizio di una fantomatica spectre islamista quando osano criticare Israele. Il rapporto dell’ONU che ha smentito le accuse di stupri sistematici da parte di Hamas è stato deriso, mentre le denunce delle violenze nelle carceri israeliane vengono sistematicamente oscurate. Francesca Albanese e l’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, sono stati attaccati da quelle che Daniele Luttazzi chiama giustamente le “bufale” del governo israeliano, che implicano campagne di diffamazione orchestrate persino da Google che ha manipolato i risultati di ricerca per far prevalere narrative mainstream.

Ora, mentre il complotto globale islamista è un chiaro delirio paranoico (evidentemente tutte le divisioni e i conflitti interni al mondo arabo-musulmano sono solo messe in scena), i tentativi del governo israeliano di finanziare campagne per influenzare l’opinione pubblica occidentale, attraverso pubblicità occulte e video/foto generate da intelligenza artificiale, sono state denunciate da più parti.

Il male viene da lontano: Netanyahu nel 1986

Nel 1986 Gianni Minoli intervista l’allora ambasciatore all’ONU Netanyahu a proposito del suo libro sul terrorismo. L’intervista è notevole perché mostra come Minoli non faccia sconti a Netanyahu e ne contesti sia le premesse sia le conseguenze del discorso. Le premesse rappresentano una totale semplificazione del quadro politico internazionale. Netanyahu sostiene che il terrorismo sarebbe alimentato da due fonti principali: il totalitarismo comunista e il fondamentalismo islamico, i cui militanti, privi di scrupoli morali, riterrebbero tutto lecito.

Da questa impostazione derivano conclusioni completamente fuorvianti, come l’affermazione secondo cui l’Unione Sovietica avrebbe sostenuto la liberazione proposta dalle Brigate Rosse in Italia. Minoli ribatte osservando come la lotta al terrorismo sia stata sostenuta anche dal Partito Comunista italiano.Un altro aspetto del discorso di Netanyahu, che riecheggia i deliri contemporanei dei No PAL su Hamas e sugli organismi internazionali, riguarda l’idea che il consenso all’OLP e le risoluzioni ONU a sostegno dei movimenti di “liberazione nazionale” sarebbero frutto esclusivamente della propaganda di Arafat. Si tratta di una tesi del tutto insostenibile che Minoli infatti contesta con decisione.

Netanyahu afferma inoltre che il concetto di “liberazione nazionale” servirebbe da copertura al terrorismo, poiché questi movimenti non mirerebbero alla “libertà” ma alla costruzione di “regimi autoritari”. Quando però sostiene che l’Occidente dovrebbe stringersi sotto la guida degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, Minoli gli fa notare come la CIA sia intervenuta in Sud America per instaurare sanguinose dittature e come Reagan stia sostenendo il “terrorismo” dei Contras in Nicaragua.

Ciò rivela quanto i concetti di “libertà” e di “diritto” usati da Netanyahu, siano in realtà del tutto astratti e ideologici.Il problema, come sempre, è che, una volta rimosse le cause storiche, politiche ed economiche alla base dei conflitti, si finisce inevitabilmente per moralizzare le conseguenze di questi stessi conflitti. Così, la condanna della violenza e del terrorismo diventa automaticamente una rimozione delle loro cause. È esattamente ciò che accade oggi nella sinistra bellicista, che, attraverso un moralismo sterile, dimostra di aver completamente abbandonato un’analisi delle contraddizioni reali.

Sollecitato da Minoli, Netanyahu è costretto ad ammettere che la pietà verso la disperazione che alimenta il terrorismo non può essere accettata da chi combatte quest’ultimo (e non le sue cause strutturali), e che le vittime civili della lotta al terrorismo devono essere considerate conseguenze inevitabili della battaglia contro “la barbarie”.

Così, Netanyahu sostiene che il bombardamento di Dresda, con il suo carico di vittime civili, sia stato inevitabile e necessario. Adotta cioè la stessa logica dei No PAL e nei No PAX, cioè della sinistra bellicista contemporanea: nazifica il nemico, trasformandolo automaticamente in una barbarie contro la quale “la civiltà” avrebbe il diritto – anzi, il dovere – di difendersi, fino a giustificare ogni mezzo. È evidente che questo ragionamento, del tutto ideologico, conduce inevitabilmente alla disumanizzazione. Cioè ad una forma di barbarie doppiamente maligna perché mente su se stessa spacciandosi per civiltà. Emblematica, in tal senso, è un’affermazione di Netanyahu: rivolgendosi ai terroristi, dichiara che “quando vi comportate come animali, vi tratteremo come animali”. Alla luce dell’attuale identificazione tra il popolo palestinese e Hamas e del trattamento riservato oggi ai palestinesi a Gaza, queste parole suonano come una inquietante premonizione.

Gli effetti di lungo periodo di questa disumanizzazione sono eclatanti nell’episodio televisivo in cui Piers Morgan chiede ripetutamente a Daniella Weiss se prova empatia per i 20.000 bambini palestinesi uccisi: Weiss si rifiuta ogni volta di esprimere la minima pietà, come se quelle vite non avessero più alcun valore umano.

Un Medio Oriente senza socialismo

È la catastrofe dell’empatia, la fine di ogni idea di solidarietà su scala globale. E non è un dato casuale. Ripete la stessa rimozione delle cause che muove il discorso già potenzialmente genocida di Netanyahu a metà degli anni 80. È l’effetto dell’eclissi del socialismo e del suo corollario: l’internazionalismo. È la conseguenza della fine di un’idea di mondo condiviso, capace di andare al di là dei confini, delle etnie e delle differenze storicamente realizzate.

Anche in questo caso, il crollo del socialismo come prospettiva politica ha trascinato tutti in un mondo ancora più caotico, ingiusto e violento, in cui il moralismo – incapace di accettare le contraddizioni del reale e ossessionato dal dissolverle – diventa uno strumento di propaganda ideologica e di affermazione unilaterale degli interessi dell’Occidente.

Fino agli anni Ottanta, persino politici moderati cristiano-liberali potevano stringere relazioni diplomatiche – o almeno negoziare – con soggetti allora etichettati come “terroristi”, proprio perché il quadro geopolitico richiedeva discernimento strategico. Oggi, invece, l’Occidente ha perso la capacità di distinguere la Storia con la S maiuscola dalla cronaca, la strategia dalla tattica cieca, perdendo soprattutto la cognizione delle dinamiche economiche sottese: il modello occidentale che si stacca dalla socialdemocrazia per abbracciare un neoliberalismo imperiale totalitario.

E in questo contesto, la sinistra liberal oggi non sarebbe più in grado neanche di vedere nell’esperimento del nazionalismo arabo un tentativo, pur contraddittorio, di lotta anticoloniale e di emancipazione basata su politiche di riforma e giustizia sociale. Figuriamoci l’islamismo di Hamas.

Allo stesso tempo, anche Israele ha perso la propria spinta originaria: nato con l’appoggio dell’ URSS, su basi collettiviste, con kibbutz, il potente sindacato Histadrut e numerosi governi laburisti, ha abbandonato la tensione verso l’uguaglianza sociale. Dall’ascesa della destra e dal 1967 in avanti, con l’espansione degli insediamenti e l’affermarsi di un sionismo sempre più cieco e oltranzista, è diventato a sua volta uno Stato nazionalista, violento e razzista – un laboratorio del nazionalismo e della destra eversiva globale.

Post-verità e disumanizzazione

È impossibile non vedere in tutto questo il segno di una catastrofe politica forse irreversibile. La sinistra che adotta queste posizioni non solo rinnega i propri principi originari ma tradisce ogni possibilità di comprendere la realtà in termini materiali e storici. Come la guerra in Ucraina non nasce nel 2022 anche la questione palestinese non nasce nel 2023. Ignorare decenni di espropriazione, pulizia etnica e repressione significa rendersi complici della perpetuazione di una guerra coloniale che non ha alcuna prospettiva di giustizia e quindi di vera pace.

Chi parla di “pace giusta” in Ucraina, intendendo il riarmo dell’UE e la vittoria degli interessi unilaterali della NATO, non ha stranamente alcuna sensibilità perché il popolo palestinese abbia “giustizia”. Deve accettare la legge del più forte e rassegnarsi. I No PAL sono l’espressione di una sinistra che ha sostituito l’analisi storica con l’emozione immediata o con il cinismo spietato a seconda della convenienza. Ha smarrito totalmente il concetto di solidarietà di classe e di pensiero critico. Ad essi ha sostituito l’adesione al blocco economico-militare ed etnico dell’Occidente e il tifo da stadio. No PAL e No PAX contribuiscono così a normalizzare un clima in cui ogni voce dissidente è sospetta e ogni alternativa alla guerra è delegittimata in partenza.

Ma ciò che è peggio è che questa adesione incondizionata al potere sta normalizzando la disumanizzazione in nome della lotta ala barbarie. Per questo sono disposti ad accettare ogni sofisma e ogni sacrificio dell’intelligenza sprofondandoci in un clima di post-verità e neosofistica. La verità, come diceva Marcuse, implica infatti sempre un rapporto critico con il reale e la ricerca di un cambiamento delle condizioni di esistenza. Al di fuori di questo rapporto negativo con “ciò che è” il pensiero diventa solo una tecnica di riproduzione dei rapporti di dominio. L’indignazione a senso unico dei No PAX e dei No PAL è il sintomo di una resa alla realtà così com’è mascherata da pragmatismo: mentre danno l’idea di saperla lunga e disprezzano le masse credulone dei “pacifinti” e dei “pro-pal”, scambiano l’apparenza dei rapporti di dominio vigenti come una realtà immutabile. Poiché hanno rinunciato a priori a cambiare quei rapporti li vedono come orizzonte insuperabile: il loro “realismo” è l’auto-clausura imposta dentro un perimetro ben definito di valori e significati eteronomi e di parte, una fotografia del presente, un’immagine statica che non ha storia, né futuro.

Per questo il loro sedicente “realismo” sfocia nel delirio paranoico: avendo mutilato la realtà di ogni contraddizione e di ogni alterità, esso diventa piuttosto un’idea fissa, un blocco psicologico ad ogni ipotesi di pensiero autenticamente critico.La “verità” della sinistra bellicista è sempre ciò che conferma il sistema dell’ingiustizia, e ne impedisce il divenire e il superamento. E così invece di contribuire alla liberazione diventa ingranaggio del medesimo meccanismo di violenza che rischia di inghiottirci tutti.

Per approfondire consiglio di rileggere Hannah Arendt che in Ebraismo e modernità aveva già previsto certe involuzioni della politica israeliana

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