Spesso ad internet viene attribuita l’enorme responsabilità di influenzare le menti, soprattutto dei più giovani, di accorciare le distanze tra gli utenti e di non facilitare i dialoghi costruttivi, e del resto un’inchiesta del Wall Street Journal dello scorso anno ha ampiamente spiegato come social network, soprattutto Instagram, impatterebbero negativamente sullo stato di salute mentale degli adolescenti, specialmente ragazze.

Eppure, forse proprio con l’aumentare di questa consapevolezza, stanno aumentando anche i profili e le pagine che fanno divulgazione e sensibilizzazione sui temi di salute mentale. Esistono diversi tipi di progetti in rete, ci sono quelli che raccontano esperienze personali, quelli di psicologi o gruppi di psicologi che si occupano del tema dal punto di vista clinico, ci sono profili che usano i propri contenuti creativi per diffondere consapevolezza e poi ci sono i pazienti, o ex pazienti, che hanno deciso di approfondire la tematica partendo da se stessi ma ampliando le proprie conoscenze anche dal punto di vista professionale.

Questo è il caso di Federica Carbone e del suo Emergenza Borderline, un profilo Instagram che conta più di 30mila follower e che è un perfetto mix di informazioni professionali ed empiriche che rende il tutto estremamente fruibile all’utente. Ho deciso di coinvolgere Federica Carbone in questo pezzo per due motivi: il primo è perché trovo che il suo profilo sia un ottimo esempio di cosa voglia dire utilizzare i social network per creare, come dice il nome stesso, una rete sociale e il secondo è perché a livello personale ho esperienza con vari tipi di disturbi mentali ma non conosco il disturbo borderline e credo che sia importante accendere un focus sulle varie patologie che compongono la sfera della salute mentale.

Federica Carbone – @EmergenzaBorderline

Intanto complimenti a Federica Carbone per il lavoro che svolge. Raccontaci un po’ come è nato Emergenza Borderline e perché hai scelto Instagram per parlare della tua esperienza.

Ciao! Ma grazie a te per l’interesse, colgo sempre l’occasione di parlare di salute mentale. Il progetto “Emergenza Borderline” è stato concepito nella mia mente già mentre ero in terapia ma non ho voluto iniziare a lavorarci su finché non sono stata sicura di me e della mia recovery. Nel 2012 mi è stato diagnosticato il disturbo borderline di personalità presso il San Raffaele di Milano e praticamente in contemporanea sono stata inserita in un percorso terapeutico specifico. Nell’arco di un anno sono uscita dai criteri diagnostici e sono stata dichiarata fuori dal disturbo ma non ho iniziato la divulgazione prima del 2015.
Il primissimo contenuto che ho prodotto è stato un video ‘Uscire dal border’ che si trova tutt’ora su YouTube e che aveva lo scopo di testimoniare come la guarigione dai disturbi di personalità fosse possibile non solo sulla carta ma anche nella vita reale. In contemporanea ho aperto la pagina Facebook perché Instagram all’epoca era ancora il social dell’immagine, di attivismo e diritti non se ne parlava proprio. Ho compiuto il passaggio definitivo su Instagram nel 2018 quando ho chiuso la pagina Facebook. Il motivo è che la pagina era stata presa di mira da un gruppo di persone che hanno sfruttato il mio canale per diffamare pubblicamente dei terapeuti. Fare da spettatrice alle loro diatribe e dare lo spazio di dialogo che stavo sudando per creare non era tra i miei interessi e quindi ho chiuso e mi sono spostata. È stata un’ottima idea che non ho mai rimpianto.

Nei tuoi post parli spesso di recovery da non confondere con il ricovero, ti va di spiegarci in breve cosa significa?

La traduzione di ‘recovery’ in italiano è guarigione ma la parola ‘guarigione’ non è sufficiente a spiegare la recovery. Guarire infatti significa tornare allo stato precedente la malattia ma i disturbi di personalità hanno un esordio talmente precoce che si intesse nei ricordi della persona al punto da non riuscire più a distinguere dove inizia l’una e finisce l’altro.

La recovery invece è quel percorso esperienziale, non lineare perché prevede gli alti e bassi anche dei possibili stop, ricadute e ripartenze, che rappresenta l’evoluzione della personalità che si libera da disturbo e dalla sintomatologia che lo caratterizza. Immaginate una pianta infestante che cresce attorno ad un albero. Risucchia la linfa e anche le sue radici avviluppano quelle della pianta soffocandola, quando si vuole potare la pianta infestante bisogna fare attenzione alle conseguenze sulla pianta che si sta cercando di salvare. È un lavoro che a volte si fa in urgenza, con le tronchesi ma altre con il contagocce e comunque sempre con molta attenzione, delicatezza e sul lungo periodo perché bisogna ricordarsi che c’è qualcosa di vivo sotto che cerca di riprendere fiato mentre sta lentamente soffocando.
Quindi no, la recovery non è il ricovero ma il recupero della propria identità e la liberazione dal disturbo che non ha permesso alla personalità di svilupparsi in maniera armonica.

Emergenza Borderline dice a chiare lettere qual è il disturbo di cui hai sofferto, raccontaci cos’è perché, come spesso accade, è facile che la parola borderline venga usata per identificare altro e spesso si faccia molta confusione.

Con Emergenza Borderline ho voluto soprattutto porre l’accento sulla condizione di urgenza che si vive quando si soffre di questo disturbo di personalità. Quelle che chiamiamo crisi sono le manifestazioni visibili di un dolore invisibile e invisibilizzato che ad un certo punto urla. Il nome tecnico sarebbe ‘episodi di disregolazione emotiva’ che poi, assieme al senso di vuoto, l’angoscia abbandonica e l’identità frammentata, è proprio ciò che caratterizza questa condizione. Ci si sente ‘posseduti’ dal dolore e in particolare da un dolore che va e viene costante a ondate come una marea.
Il disturbo borderline di personalità come il disturbo narcisistico di personalità è, da tempo, tra i disturbi più stigmatizzati in assoluto. Cercando su internet si sprecano i contenuti che, a fronte di un elenco decontestualizzato di criteri diagnostici, fornisce tutti i motivi per i quali di soffre di questa psicopatologia, è sostanzialmente una persona irrecuperabile da lasciare al proprio destino. Estrapolate dal contesto, le parole ‘borderline’ e ‘narcisista’ sono diventati aggettivi squalificanti che affiancati ad altre parole aprono un mondo di fake news parapsicologiche che dividono l’utenza in buoni e cattivi. Quindi da un lato ci sono le vittime dei borderline e dei narcisisti, dall’altro i carnefici cioè i borderline e i narcisisti che però, se davvero hanno ricevuto una diagnosi in questo senso soffrono appunto di una patologia. Possiamo dunque essere d’accordo sul fatto che le prime vere vittime di una congiunzione astrale di sfiga sono loro, no? A chi piace, ad un certo punto, trovarsi in psichiatria a farsi diagnosticare?
Tra gli altri sintomi del disturbo borderline di personalità, ci sono: autolesionismo, ideazione suicidaria e comportamenti suicidari veri e propri. Considerando le statistiche, 7 persone su 10 tenteranno il suicidio e 1 su 10 riuscirà purtroppo a portarlo a termine, quindi non stiamo parlando di una scelta di comodo ma di una vera e propria emergenza sanitaria e sociale. Lo stigma è ancor più insopportabile.

Che riscontro ha Federica Carbone sui social quando tocca certi temi? È sempre stato positivo visti i numeri o all’inizio arrivavano i soliti giudizi approssimativi tipici di Instagram?

Non è sempre stato accolto positivamente. ho dovuto chiudere la pagina Facebook a causa dei messaggi d’odio che ricevevo quotidianamente. Sono stata letteralmente presa di mira per il fatto di testimoniare una realtà diversa dalla narrazione dominante. Nel 2015 ero veramente l’unica voce a divulgare questo aspetto ma soprattutto ero un’utente, quindi ancor più facile da bersagliare sia di insulti che di illazioni al limite della diffamazione. Mi è stato detto che prendevo soldi sottobanco dal San Raffaele per sponsorizzarlo, che i medici avevano sbagliato la mia diagnosi, che non sapevo ciò di cui parlavo, che diffondevo volontariamente fake news per alimentare il mio ego, un po’ di tutto insomma. Non ho trovato la stessa accoglienza su Instagram per fortuna, sia perché coloro che mi hanno seguito nella trasmigrazione da Facebook a Instagram erano persone selezionate che mi avevano sentito parlare dal vivo. Ho iniziato a organizzare eventi nel 2016 e a partecipare su invito nel 2018 quando ancora non erano neppure un trend, ho incontrato centinaia di pazienti, genitori e terapeuti interessati alla mia esperienza e condivisione che ne hanno riconosciuto fin da subito l’importanza. Io sono stata una privilegiata, non solo ho avuto accesso a un percorso di eccellenza ma sono riuscita a portarlo a termine e anche a crearmi una rete di supporto che è rimasta attiva anche dopo la fine del percorso. Non per tutti è così, me ne sono resa conto una volta iniziata la divulgazione, ecco perché sono diventata una portavoce della community degli utenti. Sono stata a colloquio anche con Celeste D’Arrando, deputata del Movimento 5 stelle, da sempre attiva ascoltatrice dell’utenza proprio per creare un gancio. Ho avuto ospite Pierfrancesco Majorino – all’epoca Assessore alle Politiche sociali, alla salute, ai diritti del Comune di Milano, sono in contatto con Giuseppe Niccolò, direttore del Direttore Dipartimento Salute Mentale ASL Roma 5. Ci tengo a fare questi nomi perché sono professionisti dai quali mi sono sentita non solo ascoltata ma anche accolta e che credo sia giusto riconoscere. Chi ha attaccato sui social non aveva chiaro il livello di impegno che ero pronta a prendermi e che dopo più di 8 anni sto continuando a portare avanti.

Credi che i social network che spesso possono essere deleteri per la salute mentale soprattutto dei più giovani, possano invece diventare uno strumento fondamentale per abbattere lo stigma?

I social sono uno strumento che sta a noi decidere come utilizzare ma non sono totalmente sotto il nostro controllo. L’algoritmo studia i nostri comportamenti per capire cosa ci piace e cosa non ci piace in modo da proporci solo contenuti che ci terranno incollati allo schermo più a lungo possibile. Dopo poco finiamo in bolle di persone che la pensano come noi e rapidamente iniziamo a leggere la realtà attraverso queste lenti, credendo erroneamente che la pensino tutti così e soprattutto che tutti siano esposti agli stessi contenuti. Qui si crea un primo gap perché è vero il contrario: non tutti veniamo raggiunti dagli stessi dibattiti perché chi gestisce i social non ce lo permette. È fondamentale avere questa consapevolezza. Chi stigmatizza, si ritrova in una bolla stigmatizzante che normalizza, supporta la tendenza a stigmatizzare perciò o è la persona singola a mettere in discussione questo tipo di informazioni perché magari inizia a sentire una dissonanza cognitiva, dubbio o fastidio e quindi inizia a guardare altrove, oppure sarà molto difficile raggiungerla.
In questo senso io mi concentro di più sul creare una dialogo edificante per chi già mi segue in modo tale che siano loro a sentirsi sicuri di quello che stanno ascoltando e imparando, al punto tale da portarlo nelle loro quotidianità diventano voci alternative. Per me è importante che il cambiamento sia personale prima e comunitario poi, questo è il mio approccio. Non sono brava a urlare, non lo sono mai stata, mi mette a disagio e non ho intenzione di piegarmi a questa modalità. Nella mia esperienza un fuoco di rabbia lascia il terreno arido. L’uso che faccio io dei social è certamente meno performante, non ho crescite esponenziali di follower perché non dico cose che alimentano la polarizzazione ma mi va bene così, lo preferisco. Quindi sì, i social possono essere deleteri ma anche salvifici e non possiamo sperare di eliminare una di queste due cose. I creator possono e secondo me devono scegliere però da che parte stare, se quella dell’etica e del rispetto di tutti oppure no.

Alla fine di ogni pezzo qui su Rewriters consigliamo ai lettori qualcosa per approfondire l’argomento trattato, oggi lo lascio fare direttamente a Federica Carbone.

Allora suggerisco il film La città incantata di Hayao Miyazaki perchè è ricchissimo di suggestioni. Preferisco non dare troppi spunti ma lasciare il lettore libero di seguire quello che più lo ispira mentre lo guarda. Se poi chi lo vedrà vorrà condividere con me, o con noi, le sue sensazioni potrà farlo contattandomi direttamente su instagram.

La città incantata
Regia Hayao Miyazaki

Grazie a Federica Carbone per questa chiacchierata e per il lavoro che fa sui social network per aiutare la nostra comunità ad abbattere lo stigma sulla salute mentale.

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