Nel 1976 Bob Dylan pubblica Desire uno dei suoi album artisticamente più interessanti e più belli della sua lunga carriera. Quel disco si apre con Hurricane, che è molto più di una semplice canzone, ma una vera e propria pagina di denuncia contro il razzismo e l’ingiustizia nei confronti dei neri, imperante in America. Il brano racconta nei dettagli, proprio come in una pagina di cronaca nera, in 8 minuti e mezzo, la triste storia di Rubin Carter, un pugile di colore del New Jersey soprannominato per l’appunto l’Uragano, che era stato condannato all’ergastolo nel 1967 per triplo omicidio commesso in un bar.
Dylan aveva letto la sua autobiografia ed era perfino andato in carcere a visitarlo perché credeva fermamente nella sua innocenza e nel fatto che fosse stato incastrato per il colore della sua pelle. Decise così di sposarne la causa e di denunciare pubblicamente, a suo modo, questo scandalo giudiziario sfruttando anche il suo lungo e storico tour denominato il Rolling Thunder Revue iniziato a Plymouth nell’ottobre del 1975. Il celebre cantautore e la sua incredibile carrellata di amici musicisti (fra cui la sua ex Joan Baez) si esibirono in due concerti: l’8 dicembre al Madison Square Garden di New York – raccogliendo, per sostenere la causa, oltre 100.000 dollari – e il 25 gennaio del 1976 all’Astrodome di Houston per sostenere la causa del succitato prigioniero.
Tutto questo movimento di massa riuscì a ottenere un nuovo processo che tuttavia terminò, purtroppo, con la conferma della condanna di Carter. Ci vollero ancora quasi due lustri perché un tribunale, nel 1985 decidesse in suo favore con una sentenza del giudice Haddon Lee Sarokin che dichiarò finalmente la verità, vale a dire che “la sentenza di condanna era basata esclusivamente sul razzismo invece che sulla ragione”. Ovviamente la Procura (perché spesso al peggio non c’è mai fine) fece appello per tentare di riportare in carcere l’ex pugile, ma per fortuna sia la Corte d’Appello che la Corte Suprema confermarono la sentenza di Sarokin. Una volta libero, Hurricane si trasferì a Toronto e, divenuto cittadino canadese, fu nominato Direttore di un’associazione a favore delle persone condannate ingiustamente. Nel 2012, proprio durante una Conferenza sulla Giustizia in Australia dichiarò pubblicamente di essere malato terminale, a causa di un tumore alla prostata che, nel 2014, gli fu effettivamente fatale.
La sua storia, se da una parte riporta alla luce tutte le questioni sul razzismo di cui le pagine dei giornali ed i social si sono riempiti in queste ultime settimane, a causa della morte di George Floyd, dall’altra conferma il potere della musica di fungere da megafono di tutte le ingiustizie. Anche se Bob Dylan avrebbe voluto essere ancora più efficace con la sua celebre canzone di protesta (vista la lunghezza complessiva della detenzione di Carter), resta indubbio che contribuì con un forte scossone a questa giusta causa, riuscendo ad incidere almeno in parte per la restituzione della libertà ad un uomo illegittimamente condannato.