Non sono razzista ma… è una frase che avremo ascoltato milioni di volte nella vita. In fila al supermercato, al balcone di casa, chiacchierando del più e del meno con i nostri vicini, sui mezzi pubblici e nei vagoni carichi di pendolari che ogni mattina in tempi pre-Covid-19 si recavano a lavoro.
Non sono razzista ma è che sono troppi. Ci invadono. Qua si sta assistendo a una vera e propria sostituzione di una razza. Quella bianca!”
“Passano la vita a bere e fare risse e se qualcuno resta ucciso peggio per lui. Non che non abbiano qualche altro lato buono… ne ho conosciuti un paio…ma sono eccezioni”.
Sono fatti così per natura. Sono bestie!”.  

Per non parlare poi del non sono razzista ma… in nome del cattolicesimo di Stato. 
“Troppe moschee”. “Il crocifisso non si tocca!” “Vogliono toglierci il Natale”. 
Giù le mani dal Presepe!”. 

Complici i media nazionali che per anni hanno fatto da cassa di risonanza ad una politica volta più all’odio che all’integrazione, l’Italia è  ad oggi la nazione con la più alta percentuale di erronea percezione del fenomeno migratorio

Il 17,4% della popolazione pensa infatti all’invasione. Il valore più alto in assoluto fra tutti i paesi europei. Eppure gli stranieri residenti in Italia sono appena 5 milioni. Un numero esiguo a ben pensarci e che scende a 3.714.934 se si calcolano i residenti stranieri provenienti da paesi non Europei (come la Romania!!).
Un diciottesimo dell’intera popolazione italiana (60 milioni). 

E fra gli ipotetici invasori e gli immaginari invasi si ritrovano da ormai troppi anni 1.316.000 giovani di seconda generazione, italiani/e a tutti gli effetti, compagni/e di banco, colleghi/e di lavoro esclusi dal diritto di cittadinanza da una legge barbara Ius sanguinis che definisce l’italianità in base alla discendenza e al diritto di sangue.  

Il razzismo non è un’opinione, se in un paese, la cui Costituzione sancisce pari diritti e opportunità, si trasforma in barriere legali, ritardi educativi, inaccessibilità a percorsi di formazione e mancato ingresso nel mercato del lavoro professionale.

E per professioni intendo: medici, avvocati, giudici, ingegneri, giornalisti, architetti, dirigenti di banca o semplicemente impiegati nella pubblica amministrazione.

Perché quasi sempre in Italia a quei 3 milioni e rotti di residenti con cittadinanza non italiana troppo spesso vengono lasciati quei lavori che il professor Maurizio Ambrosini definisce: I lavori delle 5 P: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmentenonostante abbiano in tasca diplomi e lauree.

“Maestra mi chiedevo una cosa… perché in Italia non si vede mai un poliziotto di colore, un autista di autobus, un insegnante, un militare, un impiegato alle poste o in banca”. Per chi guarda avanti e mai indietro, come Christy (il nome è di fantasia per tutelarne l’identità) studentessa piena di speranze arrivata in Italia ancora minorenne dalla Nigeria è difficile da capire, quanto per me spiegare. E lo è ancora di più se pensiamo al caso di Hilarry Sedu.  Avvocato di origine nigeriana, nato e cresciuto in Italia, Consigliere degli Ordini degli avvocati di Napoli, a cui un Magistrato del tribunale per minorenni durante un’udienza si è permesso di chiedere: “scusi ma lei è avvocato? Avvocato con la laurea?”. 

Quando penso alle disparità di trattamento e al vento, ormai bufera, di xenofobia che soffia da troppi anni in Italia mi viene sempre in mente il Rapporto dell’ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani
Anno Domini 1912
Generalmente sono di piccola statura e pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché si tengono lo stesso vestito per molte settimane, si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. quando riescono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue per noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra loro. Dicono che sono dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano, non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma soprattutto non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o addirittura di attività criminali”. 

Lunedì 21 Marzo si aprirà la XVII Settimana di azione contro il razzismo.

Per questa occasione di scambio e riflessione collettiva l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) insieme alle associazioni Oltre Le Parole e Dire Fare Cambiare organizzeranno una settimana di incontri, approfondimenti, dibattiti grazie alla collaborazione di associazioni, compagnie teatrali, scuole, personalità del mondo artistico e culturale impegnati nella costruzione di una società inclusiva dal titolo: “Il razzismo non è un’opinione”.

Ad ospitare il primo evento in calendario sarà l’Accento Teatro di Roma con una diretta streaming guidata da Cecilia Rinaldini, giornalista Rai alla quale parteciperanno Tiziana Bergamaschi (regista Teatro Utile, Milano), Francesca Cavallo, scrittrice; Sara El Debush, attrice; Pino Pecorelli, musicista e fondatore Orchestra di Piazza Vittorio; Ilaria Romano, coordinatrice della Rete nazionale Docenti Giornalisti nell’erba; Vittorio Sammarco, rappresentante di Nessun Luogo è lontano; Melissa Sonnino, Coordinator Facing Facts CEJI – A Jewish Contribution to an Inclusive Europe Giulia Morello e Pascal La Delfa presidenti delle associazioni promotrici del progetto.

Il progetto proseguirà poi con il coinvolgimento in streaming di numerose scuole superiori di primo e secondo grado: Perugia, Palermo, Roma, Cagliari e Foggia per concludersi il 27 Marzo con uno street reading performativo sul tema dell’integrazione realizzato da: Teatro Utile – Accademia dei Filodrammatici, Milano;  Monolocale – Accento Teatro, Roma; S.T.A. e Teatro Metropopolare, Prato; OltrePalco Ricerche Teatrali, Bari; Alosha e Fondazione Casa della Solidarietà, Troina (EN) e Catania. 

L’integrazione è un’operazione che si fa in due. Non ci si integra da soli. Integrarsi non significa rinunciare alle componenti della propria identità di origine ma adattarle a una nuova vita in cui si dà e si riceve”.

Tutto il resto continua ad essere Razzismo senza se e soprattutto senza ma…

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