Del film Il filo invisibile, uscito il 4 marzo su Netflix dopo una preview in alcuni cinema delle principali città italiane, Rewriters ha già scritto, grazie alla raffinata penna della direttrice Eugenia Romanelli. Qui però vogliamo parlarne direttamente con il regista Marco Simon Puccioni, anche autore della sceneggiatura insieme a Luca Bei.

Un film importante e, cosa non indifferente, tutto italiano, con una produzione tutta al femminile di Viola Prestieri e Valeria Golino.

La locandina de “Il filo invisibile”

Nel film Filippo Timi e Francesco Scianna interpretano  una coppia gay, Simone e Paolo, divenuti papà di Leone, nato in California grazie alla gestazione per altri.

Il filo invisibile citato nel titolo del film è il legame che lega Leone ai suoi due papà, a Tilly, la donna americana che lo ha aiutato a nascere, e a tutto il sistema complesso di affetti a cui ogni persona si appoggia dal momento in cui viene al mondo.

E’ un film importante perché, forse per la prima volta nel cinema italiano, racconta con una verità sorprendente la vita di una famiglia arcobaleno che si rivela in tutta la sorprendente quotidianità, dalla scoperta dell’amore di Leone, ai conflitti tra i genitori. Alla fine, ogni famiglia non avrà difficoltà a riconoscersi nella famiglia di Il filo invisibile.

Non a caso Netflix ha accompagnato l’uscita del film con una campagna di lancio spiazzante: il lancio di #HOMCollection, la prima linea di prodotti per la casa per famiglie LGBT+: una linea composta da oggetti molto utili, ma soprattutto identici a tutti gli altri, perché identiche sono le esigenze delle famiglie omogenitoriali rispetto a qualsiasi altro tipo di famiglia.

Nel film siamo totalmente fuori dagli schemi della raffigurazione dolente e nascosta delle persone LGBT+. Il film è totalmente contemporaneo e futuribile al tempo stesso nel mostrarci quel confine sottile tra quello che già oggi esiste e il mondo che la Generazione Z sta iniziando a costruire.

Ho incontrato il regista, Marco Simon Puccioni, per confrontarci sul film ma anche sulla sua famiglia e sulla condizione, attuale e futura, delle Famiglie Arcobaleno in Italia.

Marco Simon Puccioni, regista de Il filo invisibile

Marco ciao e grazie per il tuo tempo, vorrei cominciare l’intervista chiedendoti di presentare la tua famiglia.
Io e mio marito Giampietro stiamo insieme da 17 anni. Dopo 5 anni di relazione abbiamo voluto diventare genitori, non potendo adottare in Italia abbiamo realizzato il nostro desiderio grazie ad una donatrice e una ‘dede’ americana (dede è il termine affettuoso con cui in famiglia chiamano la portatrice che ha aiutato i figli del regista a venire al mondo, n.d.r.) e siamo diventati genitori di due figli che oggi hanno 12 anni. Ci siamo uniti civilmente nel 2017, ma siamo ancora alle prese con il riconoscimento legale della doppia genitorialità, anche se nella vita di tutti i giorni questa è riconosciuta nei fatti a scuola (non sempre negli ospedali) e dalle persone che ci circondano.

Sei al terzo film (oltre a un cartone animato) che fai parlando, in qualche modo, della tua famiglia. Quale è la spinta principale? Il racconto a te stesso, alla tua famiglia o alla società? Insomma, chi pensi sia la tua audience principale?
La società in generale è il pubblico che cerco di raggiungere. Sono consapevole che con i mie documentari mi sono rivolto soprattutto a persone già interessate ai temi dei diritti, ma ho comunque raggiunto grazie alla sala, alla messa in onda su Rai e SKY e piattaforme come Amazon e CGE allargato il cerchio. “Il Filo Invisibile”, come film di finzione in forma di dramedy con un mix di generi dal teen-drama al melò familiare, mira veramente ad allargare ad un pubblico più generale e grazie a Netflix raggiunge tantissime persone non solo in Italia, ma in 190 paesi del mondo. L’obiettivo è sempre quello di far conoscere il nostro tipo di famiglia e far vedere differenze e similitudini con tutti i tipi di famiglia.

Da quando hai realizzato Prima di tutto ad oggi, come pensi sia cambiata la percezione sulle Famiglie Arcobaleno?
E’ cambiata molto la consapevolezza sociale delle nostre famiglie. Ricordo che quando i bambini erano ancora piccolissimi ci guardavano tutti. Due uomini con un passeggino gemellare si facevano notare e il tema della gpa e delle famiglie arcobaleno era ancora poco conosciuto e dibattuto. Molto è cambiato con il dibattito sulla legge delle unioni civili e anche dopo. Il dibattito ha portato le persone a farsi domande e a schierarsi, ma ha aumentato anche molto la consapevolezza. Forse anche raccontare la nostra famiglia in “Prima di tutto” ha aiutato il cambiamento anche perché molti mi dicono che il documentario, raccontando in modo semplice e diretto il percorso e mostrandone le tappe e la felicità che ha generato nei genitori intenzionali, ma anche nelle famiglie americane che ci hanno aiutato, ha incoraggiato tanti a intraprendere il percorso e far nascere tanti bambini.

Ne Il filo invisibile la famiglia di Leone non è la tua ma in qualche modo lo è. Cosa hai voluto raccontare di voi e cosa, invece, vorresti che in qualche modo si avveri anche per voi?
Partiamo dall’ultima domanda, per noi vorremmo il riconoscimento legale della doppia paternità, possibilmente senza tutti gli incidenti del film.  La famiglia di Leone poi non è la nostra famiglia, ma vuole essere la famiglia di tutti. Non perché auguro separazioni e rivelazioni sconvolgenti a tutte le famiglie, ma perché vorrei che tutti si potessero riconoscere nelle aspirazioni, nei comportamenti, nella forza e fragilità che i personaggi incontrano per formare ed essere una famiglia, per restare insieme tutta la vita ( o meno), per crescere dei figli.

Cosa manca ancora oggi per comprendere veramente ragioni e sentimenti che permeano la nascita e la vita di una famiglia arcobaleno?
Non c’è una risposta breve a questa domanda. Diciamo che le famiglie arcobaleno scombussolano delle convinzioni ataviche che sono difficili da scalfire e c’è molta paura che possano minare le basi della società. Vediamo negli esponenti sovranisti d’Europa che le minacce più sentite sono l’immigrazione e le famiglie arcobaleno per paura che questi fenomeni possano minare identità e tradizioni. Non si capisce ancora che invece queste novità sono sempre esistite e si possono iscrivere nella tradizione perché il desiderio di genitorialità, di formare una famiglia, di sicurezza e di migliorare la propria vita sono bisogni umani universali e condivisi e non tolgono niente a nessuno.

Vedi possibile in Italia che si possa affrontare serenamente il tema della fecondazione eterologa e della gestazione per altri in particolare?
Serenamente non ancora, visto che ci sono ancora molte paure e ritrosie, ma forse un poco alla volta, man mano che raccontiamo la società e le sue tante realtà forse sì. Il punto è far capire come le innovazioni tecniche e i cambiamenti sociali si possano iscrivere nel solco della nostra società.

Cosa manca ancora oggi a una famiglia arcobaleno italiana per potersi sentire uguale alle altre famiglie?
Dipende dal contesto, ma molte famiglie arcobaleno a partire dalla nostra e dalla tua credo si sentano nei fatti già uguali alle altre famiglie. Non si sentono uguali quando, come nel film, vanno incontro a problemi che richiedono l’intervento della legge e non possono più essere risolti dalle singole persone.

Il viaggio di Marco Simon Puccioni nel raccontare le famiglie arcobaleno è iniziato nel 2012 con il progetto My journey to meet you. Ci saranno altri capitoli?
E’ previsto un terzo capitolo quando i miei figli saranno adolescenti, ma ci siamo sempre detti che il terzo capitolo, se ci sarà, sarà firmato da loro.

Cosa ti auguri per i tuoi figli?
Credo quello che si augurano tutti i genitori, li vorremmo solidali, responsabili, consapevoli, creativi, compassionevoli, intelligenti, dotati di ironia, salute, forza, bellezza e in grado di realizzare i loro sogni.

La felicità è un concetto sfuggente e un sentimento temporaneo, ma se riescono ad afferrarla gli auguriamo ovviamente anche quella.

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