Quando si parla nei media di conseguenze della digitalizzazione su lavoro e occupazione, non succede spesso che venga presa in considerazione l’ottica di genere. Invece si dovrebbe, perché l’impatto della trasformazione non riguarda allo stesso modo uomini e donne, o meglio: le rispettive tipologie di occupazione nella nostra società, che sotto questo aspetto è tuttora fortemente genderizzata.

Ci aiuta a capire la situazione e le prospettive future Tiziana Catarci, docente di ingegneria informatica, storicamente impegnata a comprendere e combattere le ragioni di questa disparità che fa sì che la rivoluzione digitale sia ancora, in misura preponderante, una rivoluzione al maschile.

Che in Italia il lavoro di cura sia ancora attribuito di default alle donne ha molte conseguenze: il fatto ad esempio che un terzo delle lavoratrici lasci il posto quando diventa madre, ma anche che molte donne scelgano lavori d’ufficio con un orario fisso perché il resto della giornata viene assorbito da altre incombenze. Purtroppo si tratta in gran parte di mansioni per le quali gli strumenti informatici, sempre più sofisticati con lo sviluppo dell’ intelligenza artificiale, stanno rendendo obsoleto il lavoro umano. 

Se nelle parti del mondo dove la parità di genere è ancora molto lontana, e le tutele contro la violenza di genere inesistenti, anche la possibilità di lavorare tra le mura di casa grazie al digitale è un avanzamento importante sulla strada dell’ emancipazione, per le società cosiddette avanzate il terreno da conquistare sono proprio le competenze STEM. Quale scenario si prepara se le donne non saranno pronte, cioè equipaggiate con i giusti studi e le giuste competenze, a svolgere i nuovi lavori di cui la società digitale avrà bisogno? La digitalizzazione aumenterà il gap invece di colmarlo, consegnandoci una visione monodimensionale del futuro – nonché un’economia zoppa, in cui metà della popolazione potenzialmente attiva e produttiva è di fatto fuori dai giochi? 

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