Eugenia Romanelli, giornalista, scrittrice, imprenditrice e blogger ci parla di Nata con Noi, il libro che ha scritto a quattro mani con sua moglie Rory Cappelli, il primo italiano che racconta la storia di una famiglia omogenitoriale femminile. Protagonista una bambina, Barbara, e le sue due mamme, che per essere riconosciute entrambe come tali a pieno titolo – in un Paese che ancora non ammette che una coppia omosessuale possa accedere alla fecondazione assistita, che anzi arriva a mettere in discussione anche atti già registrati – hanno affrontato un lungo e pionieristico percorso legale.

Quella di Eugenia e Rory, infatti, è stata la seconda sentenza emessa da un tribunale italiano in materia di stepchild adoption da parte di un partner omosessuale, e la prima in cui la decisione della giudice è stata supportata da una perizia per stabilire se questo ambiente familiare fosse adatto ad assicurare cura e benessere affettivo a una bambina. 

“Nata con noi”, storie di vita come quelle di qualunque famiglia

Domanda questa sulla quale si continua a discutere aspramente nelle istituzioni e nell’opinione pubblica, anche se – racconta Eugenia – le reazioni ricevute da chi ha letto queste pagine dimostrano che le ansie, i dubbi, le emozioni di un genitore sono più o meno sempre le stesse, che identificarsi con queste due mamme è facile anche per dei genitori eterosessuali. Anche perché Nata con noi è fatto soprattutto di storie di vita, divertenti o commoventi, come quelle di qualunque famiglia. 

Ma se è così, qual è il motivo per cui l’omogenitorialità è ancora un argomento così controverso? Secondo Eugenia non c’entra con l’omosessualità, che finisce per fare da capro espiatorio per una questione etica più profonda. È solo il pregiudizio che non ci permette di capire e affrontare la vera causa di questa ansia sociale.

Quanto a Barbara, la freschezza delle sue parole che aprono e chiudono il romanzo dicono tutto. Stare con due mamme sembra strano agli altri, non a lei che ci vive ed è felice,

“perché gli voglio bene e loro ne vogliono a me”.

Come in tutte le famiglie – o così dovrebbe essere.

Condividi: