Ci avete fatto caso? Se ti fanno un intervista, se, per qualche motivo, finisci su un giornale, una rivista, su un qualsiasi fetente pezzo di carta pubblica, sotto alla tua immagine fotografata, campeggia immancabile la tua età. Pinca Pallina, 36 anni, Tizio 48 anni, Caio 55 anni, 77 anni. Ti mette sotto un autobus? La ottantaduenne Maria Calzetta è stata asfaltata dal 280.

Coppia di anziani rapinata presso la sua abitazione. Ventottenne tossicodipendente salva un gattino da una inondazione. Che sia a favore di stereotipo come la povera Maria Calzetta (c’è un età anche per finire sotto un autobus) oppure a contraddizione dello stereotipo (il tossico che salva il gattino), la tua situazione anagrafica è sempre lì, stampata, nero su bianco.

Alla faccia della privacy. Quale dato è più personale della propria data di nascita? Chiunque preferirebbe che venisse pubblicata la sua denuncia dei redditi, i valori sballati dei suoi esami del sangue, l’elenco dei suoi tradimenti e delle sue bugie, piuttosto che la sua età.

La gabbia anagrafica

E guardate che non è un discorso da vecchia. Io ero così anche a vent’anni, ho sempre sentito la gabbia anagrafica come qualcosa di cui liberarmi. La prima volta che finii su un giornale avevo 15 anni, frequentavo con inevitabile profitto quella che allora si chiamava quinta ginnasio.

Armai un casino coi giornali per l’eccessivo carico di compiti e lezioni da studiare imposto dal professor Ghirlassi. Intervista, fotografia. Età. Rabbia mia furibonda per l’insistenza con cui si metteva in risalto la mia estrema giovinezza. Il dato mi pareva irrilevante ai fini della mia giusta lotta.

La commossa partecipazione degli adulti alla mia prima impresa mediatica mi pareva paternalista, una gabbia di tenera approvazione per depotenziare la portata rivoluzionaria della protesta. Non volevo essere la protagonista del film “Ma guarda guarda che ragazzina sveglia!”, così come oggi non voglio ricevere la pseudo ammirazione di chi pensa che sopra i sessanta anche il cervello sia ottuso da un doppio strato di cellulite ottenebrante.

Così giovane e già così brava a parlare! Così vecchia e ancora così brava a parlare! Cambia l’avverbio, resta l’irritazione. E’ dunque così difficile liberarsi dell’età? E’ davvero, l’età, il dato identitario più interessante quando conosci una persona, quando una persona pubblica un romanzo o scala una montagna o ruba tutti i gioielli della corona? O è piuttosto l’ageless ciò a cui dobbiamo aspirare?

Rispondetemi per favore, ho bisogno di sapere se è un delirio solitario o se davvero è possibile lottare per una società senza limiti d’età.

Intanto, leggetevi Eragon di Christopher Paolini (editore Rizzoli, collana Vintage, 2012), scoprite il perché ve lo suggerisco, e poi ne riparliamo.

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