Le parole sono importanti, perché raccontano le cose, e pur nella loro intrinseca limitatezza, ne restituiscono la dimensione. Credo quindi che, ognuno di noi, quando sceglie le parole con cui esprimersi, abbia il dovere di avvicinarsi il più possibile alla verità. Da molto tempo, nella mia vita professionale, mi occupo di persone che con grande coraggio scelgono di affrontare il difficile percorso che li porta a cambiare genere. 

Ogni volta, prima di parlare di un intervento chirurgico, cerco di instaurare una relazione di ascolto con la persona che mi trovo di fronte in modo da raccogliere le sue motivazioni profonde e le sue esigenze. Questa comprensione mi guida poi nel lavoro vero e proprio che si svolge, ovviamente, in sala operatoria. Negli anni, posso dire che ognuna di queste persone mi ha arricchita, condividendo con me la sua storia. Anche la relazione con i familiari è sempre per me molto importante ed interessante, essendo spesso sempre di più i ragazzi molto giovani che affrontano il percorso di transizione.  

Ed è proprio in questo contesto che ho imparato quanto le parole siano importanti: quelle sbagliate, possono ferire, irritare, allontanare mentre quelle giuste, aiutano, curano, accompagnano la persona. Da chirurgo devo ammettere che ho fatto fatica a comprendere le sottili differenze semantiche che descrivono e raccontano questa condizione tanto delicata e tanto legata al nucleo più profondo di un essere. Ma questa fatica si è rivelata preziosa, mi ha portata a riflettere a lungo sull’opportunità di usare un termine piuttosto che un altro e, ormai, quando mi riferisco ai miei pazienti, mi trovo a mio agio solo utilizzando la parola transgender

Trovo del tutto inappropriata l’espressione transessuale perché al suo interno contiene un richiamo alla sessualità che non rende giustizia al bisogno di autenticità e di verità che caratterizza il percorso di queste persone. Il loro cammino, spesso accidentato, ha origine dal fatto di non riconoscersi nel proprio genere e la molla che li spinge al cambiamento è quella di recuperare l’armonia tra come appaiono agli altri e ciò che invece percepiscono nel profondo quando pensano a se stessi. Dopo aver conosciuto moltissime di queste persone, e averle operate, sono sempre più convinta che la sessualità, non ha alcun ruolo nella transizione. L’orientamento sessuale è separato dall’identità di genere. Le persone transgender, come i cisgender, possono avere tutti gli orientamenti sessuali. Possono essere gay, bisessuali, pansessuali, asessuali… 

L’importante, piuttosto, è riuscire a essere artefici di se stessi e protagonisti di un processo di autodeterminazione. 

Mi sono trovata a volte in difficoltà con l’uso di una terminologia appropriata ed ho dovuto leggere attentamente concetti per me abbastanza ignoti. Per esempio ho letto un post così: “è importante ricordare che essere transgender non vuol dire cambiare genere. Il cambiamento di per sé si chiama transizione. Questa non consiste nel cambiare genere ma modificare la presentazione di esso. Essere transgender riguarda l’identità, non rappresenta tutto ciò che hai fatto o meno al tuo corpo. Nonostante io abbia deciso o meno di assumere testosterone, fare o meno qualsiasi tipo di operazione, io sono transgender “.

Ogni storia è diversa dall’altra, rappresenta un unicum e ogni storia meriterebbe di essere raccontata. Credo che per approcciarsi alla conoscenza di questo mondo così variegato, sia una buona idea cominciare dalla letteratura, piuttosto che dalla saggistica. Perché quella dei transgender è una dimensione che, in primis, merita di essere accolta e compresa, attraverso l’ascolto delle emozioni. Un libro appena uscito di uno dei miei ragazzi è Quanto pesa avere coraggio di Edoardo Daumiller. Non parla di transgender, ma di scelte coraggiose, ricerca della verità e profonda ricerca del sé. Attitudini che per me, se raccontate da una persona che sono certa ne abbia una grande esperienza, valgono di più. 

Per me è stata illuminante, ormai molti anni fa, la lettura del romanzo Middlesex di Jeffrey Eugenides, pubblicato nel 2002 e vincitore, un anno dopo, del Pulitzer. Si tratta di una articolata saga familiare che finisce per convergere nella figura di Calliope. Per tutti, Calliope, o Callie, è una ragazza, ma allo sbocciare della pubertà la protagonista avverte con chiarezza che dentro di sé c’è qualcosa di non comune. La verità verrà fuori dopo un incidente, grazie all’esito degli approfonditi esami clinici prescritti da un medico molto intuitivo. È così che Calliope scopre di essere portatrice di una mutazione genetica che ha provocato alterazioni nel suo testosterone e si trova a dover affrontare una difficile scelta identitaria che la porterà a diventare Cal, senza però dimenticare la sua precedente vita femminile. Il caso della protagonista è decisamente raro dal punto di vista scientifico – si tratta infatti di ermafroditismo – ma l’autore si destreggia con maestria nel racconto del difficile equilibrio che caratterizza il cammino che Calliope compie per diventare Cal.

E sempre per dare importanza alle parole voglio citare l’articolo su Rewriters di Monica Cirinnà che oggi mi ha insegnato una cosa importante. Ho sempre detto che sono un medico, un chirurgo, ma ora non più. Userò la desinenza del genere che mi appartiene!

La vostra Chirurga Plastico

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