Riprendo il tema della comunicazione effettiva aperto pagine fa parlando di Fedez al Concertone del Primo Maggio perché ho appena visto il TED di George Monbiot e ne sono rimasta galvanizzata. Sono una grande fan degli articoli di Monbiot sul Guardian, dei suoi libri. Devo dire che è la prima volta che lo vedo parlare e non scrivere e sono colpita dal piglio da attore, dai tempi comici – su temi importanti – che sono le caratteristiche oggigiorno di chi sa comunicare bene.

Il paradosso è che anche lui, utilizzando tutte le sue capacità per arrivare al pubblico, parla di mancanza di una narrazione efficace che ci faccia uscire dal neoliberismo e da eccessi e doppi legami di un’economia improntata alla crescita e alla competizione – fra i quali ovviamente la questione del cambiamento climatico. Nel mio articolo mi riferivo a una certa comunicazione politica dal basso che non buca lo schermo; il discorso di Monbiot però è molto più ampio.
Secondo lui in realtà il sistema è uno zombie, collassato formalmente nel 2008, ma che ancora ci influenza. Tuttavia, dato che l’essere umano naviga il mondo attraverso le storie e quando vuole dare senso a qualcosa “non cerca senso scientifico, ma fedeltà narrativa” a un’idea di mondo e a come dovrebbe progredire, per rimpiazzare una storia occorre un’altra storia, persuasiva. Ecco questa ancora, secondo Monbiot, non c’è.

La cosa divertente e interessante del suo punto di vista è che lui, partendo dal principio che le storie spesso ripetono schemi narrativi, sostiene che l’occidente da tempo ripete la stessa storia (“the restoration story”) che suona più o meno così:

Il disordine affligge le nostre terre! E sono le potenti e nefaste forze che lavorano contro l’interesse dell’umanità a causarlo! Ma l’eroe si ribellerà a questo disordine, combatterà queste forze potenti, le sconfiggerà quando tutto sembra perduto e riporterà l’armonia“.

Potrebbe essere il pitch del Vangelo, di Harry Potter, del Signore degli Anelli, di Narnia e chissà quante altre storie. Per George Monbiot è anche la struttura sotto al pensiero di Keynes a seguito della Grande Depressione e del pensiero di Hayek e Friedman dopo gli anni Settanta. Narrazioni, queste due, che i conservatori e i liberali hanno interpretato diversamente ma certo non messo in discussione: alla crisi dell’una semplicemente si è inserita l’altra. Il problema è che dopo la crisi del 2008 i critici al neoliberismo non hanno prodotto storie se non “neoliberismo annacquato” o “keynes riscaldato al microonde”. O neoliberismo che di green ha solo il vestito, aggiungo io.

La nostra mancanza di immaginazione

Per Monbiot quel che sta mancando è la capacità di immaginare. Sembra ovvio che il passo che occorre fare è andare un po’ più in là di Keynes o Friedman e tuttavia la nostra specie – per cui l’immaginazione e la cooperazione hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione – questo salto non lo sta facendo. Le narrazioni che ci sono non stanno risuonando come dovrebbero, si scrivono libri e si scrivono cli-fi per creare immaginario e condividerlo, ma la strada da fare sembra sempre molta e il tempo poco. “Quando non c’è una storia che spiega il presente e descrive il futuro, la fiducia evapora” dice il giornalista ed è come se la learned helplessness di cui parlavo a proposito di un certo atteggiamento italiano nei confronti dell’Italia si dilati oltre i confini alpini a proposito delle impalcature del sistema. Che fare? Boh. Nelle alternative proposte che hanno a che fare con una riconversione che preluda all’uscita da un’economia di crescita, non ci crede nessuno.

Siamo in un cul-de-sac

Il TED di George Monbiot è del 2019, il covid doveva ancora venire. Il che rende ancora più attuali i discorsi sul tornare a un senso di comunità che presupponga la cooperazione e esca dall’individualismo e dalla concorrenza. Per non parlare dell’augurio di trovare “nuove modalità di voto perché il potere finanziario non abbatta (ma lui usa la parola trumps) mai più il potere democratico”. Monbiot è lo stesso che nel 2012 ha proposto John Clare come Poeta della crisi ambientale – 200 anni fa: lo sa bene che un tempo anche nelle campagne della sua Inghilterra il senso comunitario era ben radicato nell’organizzazione sociale. A proposito delle promesse di Boris Johnson riguardo al fare qualcosa per l’ambiente, è stato accuratamente criticissimo. I suoi dieci libri riflettono un interesse per la posizione di popolazioni come la cultura dei popoli delle foreste della Papua dell’Ovest, il Kenya, la Tanzania o l’Amazzonia – luoghi dove si è recato personalmente rischiando anche grosso. Oltre a questo, c’è la voglia di sollevare questioni, di incidere sul dialogo corrente, di parlare seriamente di crisi, natura, giustizia globale e cambiamento climatico. George Monbiot non è un romanziere ma sa rendersi interessante abbastanza: quando scrive non è mai noioso. Il libro che consiglio – ma solo perché questo blog si chiama cli-fi ed esiste una traduzione per Longanesi – è Calore! (Heat) nel quale, con il pragmatismo che lo contraddistingue, l’autore dà il suo punto di vista su ciò che occorrerebbe fare per mitigare il cambiamento climatico. Pragmatismo e mancanza di inutili censure.

We must act now lui lo diceva nel 2006. Non mi sorprende che la frustrazione del trovarsi in un cul-de-sac la senta tutta.

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