La potenza delle immagini. La loro essenza: essere polisemiche. Vediamo qualcosa, qui davanti a noi, ma per comprenderla, per leggerne il senso, per interpretarne i messaggi, dobbiamo guardarla sotto ogni possibile punto di vista, non dando mai nulla per scontato. Aprire la mente a ogni immaginabile suggerimento. Osservare non solo con gli occhi. Ed è uno dei più entusiasmanti viaggi che abbiamo la fortuna di poter fare a teatro. Come quel 23 aprile 2017, al Teatro Coppola di Catania, davanti a Him di Funny e Alexander.
Entriamo in silenzio, buio in sala. Chi seduto su delle sedie di ferro, chi a terra su cuscini, chi sui propri giubbotti. Dietro la platea, un piccolo bar dove una ragazza è intenta a servire bevande. Un teatro occupato, un luogo non convenzionale per affrontare la visione di un’opera che stravolge e sconvolge le aspettative.
Sul palco, un faro a luce calda punta un uomo, inginocchiato su di un cuscino, con un vestito marrone, camicia color terra, cravatta dello stesso colore del vestito, baffetti neri e capelli lisci che cadono sulla fronte, dello stesso colore. In mano una bacchetta da direttore d’orchestra. Dietro di lui, uno schermo. Inizia lo spettacolo, con la voglia di capire cosa ci faccia il simulacro di Hitler inginocchiato davanti al pubblico.
Il video mostra i titoli di testa di un film e lo pseudodittatore comincia a canticchiarne la colonna sonora. Ecco svelato subito il suo ruolo. È il doppiatore, unico e solo, di tutto il lungometraggio che sta per essere proiettato, il direttore di un’orchestra che è composta solo da lui.
Lo spettacolo, infatti, con la drammaturgia di Chiara Lagani e la regia di Luigi de Angelis, fondatori nel 1992 della compagnia teatrale Funny e Alexander, si basa esclusivamente sulla figura di un unico attore, Marco Cavalcoli, e sulla sua capacità performativa. La trama è molto lineare: dietro Him inginocchiato sono proiettate le immagini de Il mago di Oz di Fleming privato dell’audio, restituito dall’interpretazione dell’attore, protagonista unico e indiscusso.
Tutto si basa sulla sovrapposizione di due codici: da una parte le immagini proiettate sullo schermo e dall’altra l’hic et nunc del dittatore-direttore. Come Oz, Him è un ventriloquo, conosce l’arte dell’illusione, e così si arroga il diritto di doppiare qualsiasi cosa. Riproduce tutte le voci, la colonna sonora e perfino i suoni dei fenomeni naturali. Un’intonazione paradossale contraddistingue Dorothy, un’altra posticcia la strega malvagia, un’altra ancora i tre compagni di viaggio e il Mago. Perfino il cane Toto ha la voce di Cavalcoli. Him è un demiurgo che seleziona e plasma un mondo intero.
Ed è così che esplode il cortocircuito: da un lato la comicità che scaturisce dalla pellicola e da ciò che accade sulla scena, dall’altro l’immagine inesorabile e archetipa del dittatore. La vera “follia” messa in scena dalla compagnia ravennate è, infatti, la scelta di adombrare, anche non troppo velatamente, l’identità di Hitler dietro l’apparenza di un comico e burlesco intrattenitore. La figura storica che è stata capace delle peggiori crudeltà, ora è intenta a doppiare una favola per bambini. Una favola che insegna a credere in se stessi, senza affidarsi a improbabili sedicenti maghi. Impostori, per altro. L’inganno del dittatore tedesco è l’inganno di Oz che ora lo declassa e lo rende ridicolo. Come la scultura Him di Maurizio Cattelan, l’Hitler di Fanny e Alexander è un tiranno inginocchiato con le mani giunte. Come per chiedere perdono.
Dunque, intreccio di cinema, letteratura, arti visive e performative per ridare senso a qualcosa di già dato, per svuotarlo di ciò che storicamente conosciamo e restituire un nuovo senso attraverso le immagini, vere protagoniste dello spettacolo. Possiamo operare qualsiasi associazione, spettatori sprovveduti o avveduti di una favola conosciuta ai più e di una Storia tristemente nota. Una favola per bambini intrisa di ottimismo, raccontata dalla figurina sbiadita di un dittatore che ha scritto alcune delle pagine più nere della Storia.