Non andare fra le viti nel filo di mezzogiorno: è l’ora che i corpi dei defunti, svuotati dalla carne, con la pelle fina come la carta velina, appaiono fra la lava. È per questo che le cicale urlano impazzite dal terrore: i morti escono dalla lava, ti seguono e ti fanno smarrire il sentiero e o morirai di sete fra gli sterpi disseccati del sole – sterpo secco pure tu – o penserai sempre a loro smarrendo il senno.

“Il filo di mezzogiorno”, Goliarda Sapienza

Andare indietro per andare avanti. È questo ciò che Goliarda Sapienza fa con il suo libro Il filo di mezzogiorno ed è questo che l’adattamento di Ippolita di Majo vuole portare sulla scena.

Guidata dalla regia di Mario Martone, Donatella Finocchiaro incarna la scrittrice catanese, la sua voce, i suoi pensieri. E poi lui, Roberto De Francesco, lo psicanalista che guiderà Goliarda alla ricerca di sé, di quel sé perduto per colpa di pratiche allucinanti di cui lei stessa fu vittima.

Il filo di mezzogiorno è un’opera di denuncia, di critica nei confronti di sistemi che avevano la pretesa di risolvere le contraddizioni e i disagi dell’animo umano con prevaricazione e violenza.

È un libro che affronta il duro cammino del percorso psicoanalitico che porta Goliarda dalle tenebre dei ripetuti elettroshock, a cui fu sottoposta in una clinica dopo il tentato (presunto) suicidio, al recupero della propria identità.

È il resoconto del profondo scavo all’interno di sé, alla ricerca dei fantasmi, dei ricordi passati che diventano uncini per ancorare il presente.

È un viaggio all’interno di se stessa, inseguendo la memoria e i ricordi, per recuperare la caratteristica fondamentale che ha contraddistinto la sua esistenza: la libertà di essere.

È morta perché è vissuta

La pièce, in scena al Teatro Stabile di Catania fino a domenica 24 aprile, porta sul palco questo corpo a corpo in cui niente è escluso. I ruoli si confondono, giocando un gioco di rimbalzi e flashback in cui vengono rivissuti momenti e figure cardine della vita della scrittrice catanese.

Per ritrovare se stessa, perché 

ogni individuo ha il suo segreto … non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita sconosciuto e insondabile a voi stessi“.

(Dal libro Il filo di mezzogiorno).

Goliarda è creatura dei vicoli sventrati di San Berillo. Vergogna della riedificazione edilizia degli anni ’60, che di riedificazione non ha avuto proprio nulla. Perché ciò che si vede ancora, dopo lo sventramento del quartiere e dopo circa 6 decenni, è solo una profonda ferita ancora sanguinante.

San Berillo è un quartiere abitato da chi è spesso, e troppo spesso a causa di pregiudizi, posto ai margini della cosiddetta buona società. È un contorto mucchio di viuzze e vicoletti che ha una voce forte e profonda. E, quando passeggi tra quei vicoli sventrati, la senti. Una voce che urla forte. Una voce che sussurra dolcemente guardando verso mamma Etna. Una voce che si perde tra la schiuma delle onde del mare.

Ed è in questo luogo altro incastrato nel centro della città che Goliarda nasce, cresce e si forma, detentrice di quella disperata vitalità che nutre chi respira in quei luoghi, chi convive con il nero della lava che vivifica i busti dei mostri che reggono i balconi.

Un rione popolato, già allora come oggi, da quella umanità libera dalle costrizioni normative indotte dalla stringente identità di genere. Un’umanità tanto presente nell’opera di Goliarda.

Come la sua Modesta, protagonista del capolavoro L’arte della gioia, che è insieme donna, uomo, madre, padre, amica, amante. Perché lei è libera. Nel senso più pieno del termine. Libera di essere, di esistere, di esprimersi.

Modesta è così: ha pezzi di Goliarda, frammenti della madre Maria Giudice, magari anche del padre Peppino Sapienza. Modesta è le donne e gli uomini che Goliarda ha amato. È partigiana, anticonformista, femminista, anarchica. È libera.

Ed è questa libertà che Goliarda insegue ne Il filo di mezzogiorno. La libertà di ritrovare quel segreto richiamato sopra con le sue stesse parole.

La libertà di riacciuffare il diritto di vivere, perché – e continuiamo con le parole della scrittrice – 

“non cercate di spiegarvi la mia morte, non la sezionate, non la catalogate per vostra tranquillità, per paura della vostra morte, ma al massimo pensate – non lo dite forte la parola tradisce – non lo dite forte ma pensate dentro di voi: è morta perché ha vissuto”.

Per info sullo spettacolo e i biglietti.

IL FILO DI MEZZOGIORNO
di Goliarda Sapienza
adattamento Ippolita di Majo
regia Mario Martone
con Donatella Finocchiaro, Roberto De Francesco
scene Carmine Guarino
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta

aiuto regia Ippolita di Majo
assistente alla regia Sharon Amato
assistente scene Mauro Rea
assistente costumi Federica Del Gaudio
direttore di scena Teresa Cibelli
capo macchinista Enzo Palmieri
macchinista e attrezzista Fabio Barra
datore luci Giuseppe Di Lorenzo
fonico Paolo Vitale
sarta Francesca Colica
foto di scena Mario Spada

Il filo di mezzogiorno
 è pubblicato da La nave di Teseo.

Produzione
 Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale.

Un ringraziamento a Mario Tronco per aver musicato il canto dei pescatori delle isole Eolie.

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