Sta arrivando il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ne parlano tutti e leggendo i documenti ufficiali si tratta di un’opportunità eccezionale, non solo per riemergere dalla pandemia, ma soprattutto perché le parole chiave sembrano proprio quelle necessarie ad affrontare anche le sfide del cambiamento climatico e della giustizia economica e sociale.

La seconda delle missioni del PNRR è la rivoluzione verde e la transizione ecologica. Parole che suonano come miele alle mie orecchie. D’altro canto, per cogliere davvero l’opportunità ci vogliono anche grandi idee innovative perché parole come rivoluzione e transizione non si realizzano così da sole, né proseguendo nel fare quello che abbiamo fatto sinora. E tantomeno facendo rientrare dalla finestra proposte inaccettabili come quelle della riproposizione in salsa verde del nucleare civile.

E invece abbiamo nei nostri territori tantissime realtà medio piccole che da anni hanno sperimentato approcci davvero innovativi da cui attingere per realizzare gli obiettivi del PNRR, se davvero si vorranno realizzare.

Il Vetiver e l’architettura
ambientale integrata

Tra queste oggi vi voglio presentare l’esperienza dell’architetto Benito Castorina, per gli amici Bruno, titolare dell’Azienda Latium Vetiver. Il sito dell’Azienda Latium Vetiver racconta le attività di ricerca e sviluppo in campo ambientale, le collaborazioni con università e centri di ricerca, ma soprattutto ci introduce al Vetiver, una pianta dalle qualità straordinarie, che consente soluzioni ambientali innovative che Bruno riassume in una proposta: l’Architettura ambientale integrata.

Bruno, mi racconti che pianta è il Vetiver ma anche come, quando e perché te ne sei innamorato?
Il vetiver è una pianta perenne, sempreverde, che si presenta come un’erba gigante; cattura 154 tonnellate di CO2 per ettaro, per anno; immette nell’ambiente in cui si trova 120 litri di ossigeno a pianta; forma una barriera filtrante in superficie con le sue foglie, ma anche nel sottosuolo con le sue radici che scendono solo verticalmente, raggiungendo una profondità di oltre 5 metri, che sono robuste 1/5 dell’acciaio. Sono proprio le radici a rendere il Vetiver in grado di competere con il cemento nel consolidamento dei versanti, degli argini dei fiumi, ma anche di combattere efficacemente l’erosione del suolo in zone a rischio di desertificazione. E le sue incredibili capacità di assorbimento di inquinanti organici ed inorganici la rendono in grado di realizzare bonifiche di acque e siti contaminati e di proteggere le falde. Infine, è sempre da queste radici che si produce anche un olio essenziale che rende solubile qualunque altro olio, e che viene usato come profumo e nell’industria cosmetica. Ma anche la parte erbacea è eccezionale, non solo per la purificazione dell’aria, ma anche per il potere calorico che consente di usare lo sfalcio come eccellente biomassa. Con tutte queste proprietà come potevo non innamorarmene! È avvenuto più di venti anni fa, quasi per caso. Sono sempre stato un ricercatore, di idee nuove, di cose nuove. Il Vetiver mi è apparso subito come una grande opportunità. Forse, come spesso mi è capitato, l’ho capito troppo in anticipo sui tempi, per cui ancora devo lottare per fare comprendere il valore di intervenire sui tanti problemi di dissesto e di inquinamento con una tecnologia verde come quella offerta dal Vetiver: la VetiverTecnologia!

E cos’è l’Architettura Ambientale Integrata?
Per un architetto ambientale non è sufficiente la competenza tecnica. Occorre anche una grande sensibilità e conoscenza dell’intero biota, cioè animali, piante ed esseri umani, e il rispetto dei quattro elementi che ne consentono l’esistenza in senso lato: aria, acqua, terra e fuoco. L’ architettura ambientale integrata utilizza le tecniche dell’ingegneria tradizionale e la VetiverTecnologia per ottenere le migliori soluzioni al minor costo e progetta soluzioni con un impatto positivo non solo per l’ambiente, ma anche per la società e l’economia.

Mi puoi fare qualche esempio di un intervento innovativo, di una ricerca?
La prima volta che mi dissero che le piante ci mettono tempo a svolgere la loro funzione inventai la “Siepe Pronta di Vetiver”, che svolge le sue attività dal momento che la poni in opera. Quando mi dissero che non c’erano soluzioni per alzare gli argini soggetti a subsidenza della Bonifica Pontina, inventai l’Argine Sostenibile, un sistema che consente di alzare gli argini di 90 centimetri in due anni e che può essere sostenuto da argini di qualsiasi tipo, e comunque un sistema che accelera la messa in sicurezza di canali, fiumi e zone umide.

Quando mi dissero che i costi per la caratterizzazione dei suoli inquinati, come quelli della Valle del Sacco o della Terra dei Fuochi, e i tempi per realizzarli erano elevati, inventai un sistema col Vetiver che, oltre a consentire la caratterizzazione dei suoli e il monitoraggio del carico di inquinamento, attiva i processi di bonifica sin dalla posa a dimora delle piante. Quando mi dissero che l’impiego del vetiver riduce i costi e quindi i guadagni per professionisti e imprese, ideai una filiera che consente di riconvertire l’economia dei territori e creare lavoro, dal bracciante allo scienziato e dalla piccola alla grande impresa.

Che il vetiver riduca i costi lo si comprende osservandone le sue straordinarie qualità e prestazioni rispetto alle altre piante. Infatti, è una pianta perenne, quindi non richiede di essere piantumata ogni anno. È ricca di cellulosa e di carbonio, per cui lo sfalcio non è un rifiuto ma un prodotto da vendere. Non richiede gli anni di manutenzione che richiedono altre piante, bonifica le discariche ed effettua la fitodepurazione delle acque a costi bassissimi. Può essere alternativa al petrolio per la realizzazione di diversi prodotti industriali e, in certi casi, anche al calcestruzzo armato e alle opere pesanti di ingegneria ambientale.

Ritengo bastino questi pochi esempi per rendersi conto che il vetiver è conveniente per chi l’acquista, ma non per chi lo vende. Poi, per rendere l’idea della filiera, illustro un caso pratico di come opererei per bonificare un’area estesa e altamente inquinata come la valle del fiume Sacco. Definisco una serie di lotti di circa dieci ettari da bonificare; assegno ogni lotto a una cooperativa di giovani per la piantumazione; a borsisti, assegnisti, dottori di ricerca la gestione, il monitoraggio, le analisi, la catalogazione dei microrganismi; a imprese l’utilizzazione della biomassa per la produzione di un gas ricco di idrogeno e così via.

Contemporaneamente alla bonifica dei suoli e delle acque, il vetiver sta catturando 154 tonnellate per ettaro per anno di CO2. Conclusa la bonifica, restituirò i terreni ad un’agricoltura biologica di altissima qualità. Avremo prodotto know-how, ricerca e sviluppo. L’espianto del vetiver, anziché avere un costo, costituirà un guadagno, perché le piante si saranno moltiplicate.  Il reattore che produceva energia con la biomassa vetiver continuerà a produrre energia con gli sfalci e i residui della lavorazione dei prodotti agricoli. E in questo modo, si sviluppa la riconversione verde dell’intera filiera economica di un territorio, coinvolgendo i giovani, creando lavoro, favorendo l’innovazione tecnologica. E con la produzione dei macchinari verrebbero rilanciate le acciaierie italiane, le industrie siderurgiche e tutto l’indotto relativo.

Cosa intendi per un impatto positivo non solo per l’ambiente, ma anche per la società e l’economia?
Vuol dire porre ogni intervento di fronte allo specchio del bene comune. Vuol dire risolvere il problema soddisfacendo il cliente, non solo per il suo problema, ma anche ricercando le possibilità e suggerendo soluzioni che portino benefici per la società e l’economia. Mi piace chiamarlo liberismo sostenibile, giocando un po’ con parole che sembrano essere diventate un ossimoro.

Intendo un liberismo che si occupi del lavoratore (creando lavoro), del consumatore (mettendo tutti in condizione di “consumare”) e del produttore di beni o servizi (accompagnandolo nella fase di riconversione verso un’altra attività). Guarda, lo spiego con un esempio: i depuratori che trattano i liquami fognari in genere usano delle pompe elettriche che mandano aria nei liquami, aria che contiene circa un 20% di ossigeno che favorisce la moltiplicazione dei batteri che, essendo più numerosi, svolgono più rapidamente i processi di decomposizione della sostanza organica. Inoltre, per svolgere la loro funzione, questi depuratori utilizzano microfilm per creare un habitat per i microorganismi, e nel processo di decomposizione della sostanza organica si producono fanghi che, essendo rifiuti, vanno a finire nei termovalorizzatori, termovalorizzatori che a loro volta usano dei filtri per ridurre l’inquinamento atmosferico prodotto. Questo sistema per depurare i liquami fognari impegna quindi sei attività industriali: le pompe per produrre ossigeno; l’elettricità per alimentarle; i filtri per ridurre l’inquinamento; i microfilm per i batteri; i termovalorizzatori per trattare i fanghi; i filtri per i termovalorizzatori. Infine, dovrebbe essere impiegato il vetiver o altri tipi di intervento per eliminare i metalli pesanti e gli ossalati che questi depuratori non eliminano e che tutt’ora vanno a inquinare i canali, i fiumi e i mari.

Se sostituisco tutti questi macchinari e faccio un impianto col vetiver, oltre al beneficio di eliminare gli ossalati e i metalli pesanti, non produco rifiuti e riduco notevolmente il costo del processo. Solo se arriveremo qui potremo parlare davvero di transizione verde, transizione che necessita di tempo, ma soprattutto di meccanismi che difendano il lavoro di tutti. Il liberismo sostenibile deve servire a questo. Rivoluzione verde e transizione ecologica richiedono alla società e alle istituzioni di salvaguardare gli interessi del lavoratore, del consumatore e del produttore di beni e servizi. In tal modo si sostituisce alla precarietà dei lavoratori e dei datori di lavoro e alla contrapposizione con i datori di lavoro, la sicurezza, la solidarietà, l’equità, la giustizia sociale, e la convergenza di interessi, la fiducia nelle Istituzioni, in sintesi, si realizza il bene comune.

È bello sentire tanta passione. Sostenibilità vuol dire pensare alle nuove generazioni. So che scrivi fiabe. Per concludere, mi racconti come integri queste nel tuo impegno per l’ambiente?
Ho sempre creduto nella creatività dei bambini, nel loro bisogno di entrare nel mondo degli adulti, che non sempre è all’altezza di capirli o di cogliere momenti magici creati da una fantasia libera da contaminazioni. Così nelle mie fiabe, i piccoli sono protagonisti, propongono ai grandi soluzioni reali a problemi ambientali reali, basandosi su qualcosa imparata a scuola o appresa da un adulto, dai nonni in particolare, oppure immaginata da loro. L’amore per le piante e per l’ambiente si riflette in quello familiare, dove bambini e vecchi con gli ingredienti dell’innocenza, della sperimentazione e della saggezza, ripropongono un futuro fatto di valori, di sentimenti e di azioni concrete per uno sviluppo economico e sociale sistemico, per costruire un mondo equo e solidale.       

Chi volesse avere le mie fiabe può averle mandandomi una mail all’indirizzo Info@latiumvetiver.it con scritto ‘fiaba‘. Riceverà in risposta una fiaba, e se gli piacerà, dopo una settimana, potrà chiederne un’altra mettendo nell’oggetto ‘seconda fiaba’ e così via.

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