Camminare sui binari dismessi di una ferrovia immersa in un noceto ed emozionarsi al punto da sciogliersi in lacrime… Può succedervi se state visitando il giardino della Serpara. Un luogo onirico nato dall’effervescenza artistica di Paul Wiedmer, scultore svizzero che dopo aver viaggiato per il mondo ha scelto l’Italia come sua terra d’affezione.

E qui in Italia, al confine tra Lazio ed Umbria, trova una valle attraversata dalle acque del Rio Chiaro che diventa il suo rifugio ed il suo “diamante grezzo da far scintillare come un gioiello”. Il giardino della Serpara è un luogo in cui si lascia ogni certezza ed ogni razionalità per immergersi in un mondo fantastico, fatto di idee e pensieri che si materializzano in forme di metallo e legno, in rottami industriali che rinascono a nuova vita.

Quasi a simboleggiare questa soglia da oltrepassare, c’è un’opera che si eleva verso l’alto con forme che rievocano il razionalismo italiano degli anni ’20 del secolo scorso: ma qui c’è poco di razionale, da un lato c’è incisa la scritta Ex tempore (in latino ora, all’istante) e dall’altro c’è scritto In Aeternum (sempre dal latino, per l’eternità). Una scultura che invita a riflettere sul nostro rapporto con il tempo, e che ci spinge quasi a giocare con essa come con una macchina del tempo, in cui se ci poniamo proprio sotto di essa, non siamo né nel presente nè nell’eterno, forse in un luogo che perde la sua dimensione di spazio e dove il tempo non ha più significato.

E probabilmente è questo il senso di questo giardino, aiutarci a cancellare il tempo come lo percepiamo noi, e farci vivere un presente specioso in cui noi stessi entriamo in una dimensione ludica attraverso un’interazione con le opere.

Opere che interagiscono con noi come le gigantesche sculture di ferro dello stesso Paul Wiedmer, che lanciano strali di fuoco al passaggio del visitatore, quasi a indicare la strada, il cammino da intraprendere. O piuttosto una forma di saluto, un omaggio all’audace viaggiatore che si inoltra in questo luogo carico di mistero e di occulti significati.

Del resto il toponimo stesso del luogo, la Serpara, rievoca un luogo insidioso, un covo di vipere, quasi un luogo inospitale, dove tuttavia le opere dialogano con la natura circostante intessendo un’unica narrazione. Un po’ come accade al Bosco Sacro di Bomarzo, poco distante da qui, luogo che infatti Paul Wiedmer visita, insieme a sua moglie Jacqueline Dolder, nel lontano 1973 su suggerimento di Salvador Dalì che lo aveva scoperto anni addietro.

Come a Bomarzo le sculture gigantesche volute dal principe Vicino Orsini nel sedicesimo secolo creano una relazione dialettica con il bosco circostante, giocando a nascondersi nella vegetazione, così qui alla Serpara le opere interagiscono con gli alberi, il fiume, il prato, le rocce, divenendo un unico organismo vivente capace di comunicare emozioni.

Già, perché nonostante il giardino sia stato creato da Paul Wiedmer, ed ospiti moltissime sue opere, è anche uno spazio aperto a contaminazioni con altri artisti, che vengono accolti da Wiedmer per realizzare in loco le loro opere d’arte.

Paul Wiedmer è dunque l’iniziatore, lo spiritus rector che ha dato forma ed anima al giardino ed ha tracciato la strada da indicare poi agli altri artisti che vogliono intraprendere lo stesso viaggio di esplorazione.

Paul Wiedmer si forma al fianco di artisti come Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle, esponenti di quel nuovo realismo che si afferma nell’arte contemporanea degli anni ’60 e ’70 durante i grandi fermenti giovanili che hanno attraversato l’Europa e gli Stati Uniti. Fa tesoro di queste esperienze per convogliarle poi, con un grande dispendio di energie fisiche e mentali, nel giardino della Serpara, un progetto artistico nato quasi quarant’anni fa e sempre in divenire.

Qui Paul Wiedmer si dedica alle sue opere in ferro e alluminio, talvolta ricoperte da edera in un gioco di interscambi tra natura ed artificio, mentre sua moglie Jacqueline trasforma la valle in un luogo di contaminazioni floreali, introducendo piante esotiche come il bambù e la feijoa sellowiana, andando ad alterare con estremo fascino le caratteristiche originali del luogo.

Il risultato è un paesaggio completamente nuovo in cui si mescolano le caratteristiche tipiche del giardino inglese a quelle degli orti botanici, le atmofere esotiche dei giardini orientali a quelle geometriche dei giardini rinascimentali della tradizione italiana.

Diversi bambuseti, dove il sole filtra a fatica, si alternano così a radure luminose, un ampio noceto fronteggia il fiume rigoglioso, andando a creare una molteplicità di ambienti capaci di scatenare continue sorprese.

E in questa sinfonia di elementi floristici le opere di Paul Wiedmer e degli altri artisti vanno ad installarsi come voci di soprani e tenori su un sottofondo orchestrale di rara bellezza, costruendo un percorso fantastico che va a mischiare il piano reale con quello dell’invenzione.

Visitando la Serpara nulla è più come sembra, e le opere vanno a tracciare una finzione che è forse più vera della realtà: le lingue di fuoco sparate da cannoni arrugginiti plasmati dalla mano di Paul Weidmer ci rimandano alle origini vulcaniche di questa terra, la colonna di chiodi in acciaio cor-ten, chiamata Poltergeist e realizzata da Davide Dormino, ci fa scoprire l’importanza del chiodo come elemento di congiunzione tra le cose ed elevandosi in alto per circa dieci metri ci illude di poter inchiodare la terra al cielo.

Le miss di Severin Müller, scolpite nel legno in pose plastiche ci immergono in un’atmosfera anni ’50 con le loro curve morbide e le acconciature cotonate, l’Albergo Goldoni di Petra Flebig & Uwe Schloen è un fermo immagine degli anni ’60, con la Fiat 600 in cui una vecchia radio rimanda una voce che scandisce in modo inquietante banali frasi da ripetere per imparare l’italiano, mentre tre umanoidi in legno, che indossano improbabili stivali di gomma, sembrano appena usciti dall’auto ed osservano esterefatti l’ambiente circostante. Perché non hanno le braccia? La domanda s’insinua nella nostra mente, e cerca risposte che tardano ad arrivare.

Intanto più in là Venere e Davide (nell’opera di Pavel Schmidt) si sono scambiati i corpi, in un’esplosione che li ha spezzati in due: e così Venere nasconde il suo pene sotto una foglia di fico mentre Davide copre la sua fessura con i lunghi capelli, un’inversione dei ruoli che fa l’occhiolino al tema dell’identità di genere e alla cultura transgender.

La scultura di Graziano Marini esplora le relazioni tra est ed ovest nella sua opera Eurasia in cui le forme tondeggianti rappresentano l’oriente che incrocia l’occidente, rappresentato dal parallelepipedo.

In Colloquio antico l’artista Attilio Pierelli fa dialogare due strutture in pietra, ma è un dialogo distorto dalla lastra di acciaio inox che deforma le immagini riflesse, per sottintendere l’impossibilità o la difficoltà di comunicare, perché ciascuno di noi deforma la realtà con la propria percezione.

Sono più di quaranta le opere della Serpara, impossibile raccontarle tutte, dal Mantra di Thorsten Kirchhoff alle Quattro Madonne di Kurt Sommer, dal Cavallo di Vanessa Paschakarnis al Picchio Pinocchio di Werther Germondari.

E intanto a valle il rio Chiaro traccia il suo percorso, fiancheggiando boschetti di bambù che realizzano vertiginose architetture verticalizzate. Qui l’artista John Greer realizza un’opera di marmo intitolata The humble ending (l’umile finale) che posiziona al centro del bambuseto, un blocco marmoreo con una scritta incisa, sayonara (in giapponese significa allontanamento, è l’addio), ma la si può leggere solo inchinandosi, per enfatizzare il rituale della separazione e la necessità di restare umili nel momento del congedo.

Ed anche noi ci congediamo da questo luogo onirico, non prima però di esserci di esserci lasciati imprigionare da questo bambù gigante, il Phyllostachys virdis, le cui canne, solide come sbarre di ferro, svettando illimitate verso il cielo tracciando per noi una sola via d’uscita, se solo sapessimo librarci in volo…

Giardino La Serpara, Civitella d’Agliano, VT – Italia.

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