Ha fatto scalpore la notizia di Bottega Veneta che ha chiuso i suoi account sui social media. Molti si sono chiesti se al brand vicentino seguiranno altri grandi della moda e del lusso, o quali saranno gli effetti di questo blackout, pur ammettendo che un marchio può sparire da Facebook, Instagram o Twitter, ma contemporaneamente può trovare altrettanti influencer che faranno parlare i suoi prodotti per suo conto… Tempo al tempo, e avremo tutte le risposte.

Un contributo utile alla riflessione può arrivare da ciò che è stato detto, i primi di dicembre, durante il VOICES 2020 di Business of Fashion, in cui un panel è stato dedicato proprio alla possibile minaccia che i giganti del Tech sarebbero per la moda (qui il pod cast). La riflessione degli esperti presenti è riassumibile così: è vero che le piattaforme offrono un pubblico e un’immediatezza di comunicazione senza uguali, ma è altrettanto realistico ammettere che agli stessi Big Tech le aziende della moda stanno cedendo dati preziosi sui gusti e comportamenti del loro pubblico. Soluzione? Creare o sfruttare canali privati su cui diffondere contenuti, a questo punto editoriali, di valore. Detto altrimenti: nessun social salverà la moda dalla noia e dall’apatia (live streaming delle sfilate comprese), se la moda non salverà sé stessa ritrovando la sua vocazione originaria. E anche inventandosi nuovi modi e formati, più o meno sofisticati, per raccontarsi.

In questi giorni, per esempio, a Milano c’è il Fashion Film Festival, ovviamente in versione digitale. Duecento fashion film provenienti da 60 paesi che raccontano a 360 gradi la storia e l’attualità del fashion system. Si va da lungometraggi come Halston, un film su un mito della moda degli anni Settanta, diretto da Frederic Tcheng; come Made in Bangladesh diretto da Rubaiyat Hossain per sensibilizzare su una moda che ancora sfrutta la povertà per ottenere sempre più profitti; e come Martin Margiela: in his own words diretto da Reiner Holzemer, una sorta di autoritratto del designer belga che (si) racconta i retroscena del suo lavoro.

Arrivato alla sua quinta edizione, il Fashion Film Festival mostra da tempo come il linguaggio cinematografico sia uno dei prescelti dalla moda per trascinare in un’esperienza coinvolgente (già nel 2016 Burberry aveva fatto realizzare un minifilm di tre minuti, The Tale of Thomas Burberry, diretto dal regista premio Oscar Asif Kapadia e interpretato da star come e Lily James, Domhnall Gleeson e Sienna Miller per raccontare la sua storia). Eppure se già nell’ottobre 2019 Gucci, per conquistare il mercato cinese, presentava una serie di cortometraggi sul tema viaggio dal titolo Gucci Inspiration Map, e reclutava nel cast artisti cinesi e internazionali utilizzando le reti di Tencent, oggi sceglie di mandare il suo GucciFest su un suo sito dedicato. Sito che lo stesso Alessandro Michele descrive come “uno spazio, temporaneo e improbabile, in cui si aduneranno giovani menti creative con i loro giuramenti di bellezza. Si scambieranno sguardi, portando in dono scrigni di luce. Immagino questa festa come una costellazione di pietre focaie pronte a incendiarsi.  Un festival di film di moda virtuale della durata di una settimana, ospitato su un micro-sito Gucci, diventando così indipendente dalle grandi piattaforme e tentando di raggiungere il proprio pubblico in un modo preferenziale e diretto”. Le sette storie, online dal 16 novembre scorso, sono dirette da Michele insieme al regista americano Gus Van Sant e ovviamente sono l’occasione, visivamente e culturalmente sofisticata va detto, di mostrare i capi e accessori della nuova collezione Gucci.

È quindi questo quello che ci presenterà la moda nelle prossime stagioni? Questa sembra la direzione, grandi narrazioni in video (si pensi alla serie documentaristica che Prada ha realizzato con il National Geographic per il racconto del nuovo progetto Prada Re-Nylon, la linea di prodotti in nylon rigenerato realizzato con rifiuti di plastica recuperati negli oceani o destinati alle discariche, come scarti di fibre tessili e vecchi tappeti, che dovrebbe trasformare tutti i capi e gli accessori in nylon ECONYL entro la fine del 2021, oppure agli ormai trenta film che Chanel usa sul suo sito per raccontare la sua storia), ma anche nuovi luoghi digitali in cui essere invitati per assistere a questo racconto, e in un certo senso essi stessi progetto e racconto. A onor di cronaca va anche menzionato il film-videogioco di Balenciaga The Age of Tomorrow, che, on line da un mese, presenta su personaggi la collezione inverno 2021, e a cui si può partecipare con un proprio avatar (e ultimo in ordine di tempo dell’incursione della moda nel modo del gaming…).

In ogni caso, Bottega Veneta e Gucci (che pure sui social è iper presente) sembrano spingerci verso una nuova riflessione: va bene condividere la stessa grande casa (Instagram o qualsivoglia social), ma in fondo, c’è bisogno anche di una stanza tutta per sé per chi è in cerca di una nuova esclusività (argomento di un mio prossimo post). Guardiamo all’attualità, in fondo: i segnali della presunta caduta degli dèi del Big Tech arrivano da diversi ambiti: da Megan e Harry che non vogliono più usare i social troppo conflittuali per condividere il loro stile di vita e le iniziative della Fondazione Archewell, ritenendoli quindi non più indispensabili per scendere dalla loro torre d’avorio, al dibattito seguito al bando di Trump: segnali, per quanto non assoluti, che ci dicono che sta venendo meno quel mantello d’impunibilità, e quel potere, magico e assoluto, sulla nostra visibilità che abbiamo consegnato ai social media. Forse, e solo forse, è giunto il tempo di tornare a una relazione più intima, di dare confini più netti alla propria casa. Quello che ci racconterà la moda, specchio da sempre dei sogni e desideri della nostra società, passerà anche da qui.

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