Ma va… errore, tremendo errore! La maggior parte della musica dal vivo è fuori dagli stadi.
Riflettevo. Dal 15 di maggio, pur con residue incertezze, sono stati annunciati tanti concerti dal vivo, piccoli e medi festival: si sapeva, si sperava che ripartisse l’attività della musica, dello spettacolo dal vivo, che tanto ha sofferto… ma si è pure stufato di soffrire. Basta! Andiamo avanti, vediamo di voltare pagina, rapidamente, nel rispetto della sicurezza, della salute e dell’equilibrio mentale del pubblico e degli artisti. Adesso tra l’altro diluviano concerti pianoforte e voce, pochi strumenti e voce, tour siffatti, anche di grandi artisti, che in assenza di arene al chiuso e stadi all’aperto, ancora impraticabili, si autoriducono a tanto, pur di suonare… A volte, può essere bellissimo: essenziale.

Sì, perché a parte i grandi numeri di un’arena al coperto o di uno stadio, ci sono artisti che hanno passione e necessità fisiologica, prima di quella economica, di suonare su un palco, in pubblico. Poi ci sono pure quelli “o stadio o niente!”, così tanti concerti o festival di grandi dimensioni sono stati già rimandati, necessariamente, al 2022. Nulla di strano: è normale che sia così, nel tormentato 2021.

Vorrei però cercare di disilludere tutti quelli che sono convinti che la musica ritorni ad allietare il pubblico dal vivo solo quando si potrà tornare nei grandi spazi. Ovvio che in uno stadio ci possono stare anche quarantamila persone, che una produzione da stadio procura lavoro, per giorni e giorni, a centinaia di addetti (musicisti, tecnici, sicurezza, servizi) e che un incasso da esaurito in uno stadio è insuperabile. Lapalissiano.

Il ragionamento è semplice: quanti concerti (tra classica, leggera, jazz) risultano in un anno normale? Prendiamo ad esempio il 2019, l’ultimo considerabile, secondo i dati ufficiali dell’Annuario dello Spettacolo della SIAE.

La somma di tutti questi concerti è pari a 39.841, in 12 mesi. E secondo voi quanti di questi si sono tenuti in uno stadio? O in un’arena coperta? Solo decine, negli stadi; molti di più nelle arene, nei palazzi dello sport, comunque spazi mai costruiti per la musica, è doveroso notarlo. Oltre 15 milioni di spettatori in tutto. Senza contare concertini, pianobar, musica diffusa, discoteche, ecc. Se non pensate solo agli incassi o alle grandi masse di pubblico, vi accorgerete facilmente che la musica sta tornando in tutti gli altri spazi, che sono la stragrande maggioranza, diffusa in tutta la nazione, e tornano al lavoro le maestranze, che assistono tutti questi concerti, poche persone specializzate per le piccole occasioni, di più per le medio-grandi.

Si lavora. Alcuni sono stati costretti a cambiare lavoro, non tutti, per fortuna; altri sono incattiviti dalla situazione, che non è facile fronteggiare con serenità ed equilibrio, anche economico. Chi ancora sente la mancanza degli stadi e non si vuole rendere conto che la musica dal vivo è molto più diffusa, probabilmente frequenta solo concertoni e fa male, perché si divertirebbe di più e molto più spesso frequentando eventi di minori dimensioni, meno costosi. E alimenterebbe in questo modo il ricambio degli artisti, che sono infinitamente più numerosi di quelli che si esibiscono negli stadi.

La musica, quindi, è già tornata. Sarebbe anche ora, come si è sentito dichiarare da più parti negli ultimi tristi mesi, di ripensare lo spettacolo dal vivo, i concerti, con una consapevolezza artistica, economica, creativa, tutta nuova. Adeguata ai nostri tempi. Se non si rifletterà su questo e si continuerà ad agire e a produrre, ad organizzare come si è sempre fatto, pre-Covid, siamo destinati a scontrarci con diversi problemi, prima o poi.

Confido, per il futuro, nell’intelligenza delle persone. Però mi chiedo, realisticamente: what’s going on? Questa riflessione ha una colonna sonora, che è una canzone meravigliosa di Marvin Gaye contro la guerra, che credo possa servire a pensare all’oggi.

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