Idea falsa, vana immaginazione è la definizione che dà oggi il dizionario di molti dei luoghi che abitiamo e degli esseri che diventeremo. Chimere: montagne gonfie di metano e avvolte dalle Serpi che sono le nostre gambe, architetture, infrastrutture e tubature di plastica, infestate dalle Capre Intestinali e con una testa di Leone levigata dagli esperimenti mentali, che non ha regole ma principi, e gli occhi REM cerchiati dai carboni attivi. Siamo e abitiamo Chimere, quegli ibridi tentati e non riusciti, dalle ali di pietra, che incorporano l’incoerenza tenace delle forme e dei composti, quel tipo di cose che dilatano gli strabismi e comprovano l’impenetrabilità dei corpi e dei paesaggi.

Una chimera è il risultato di innesti, non di mescolanze. Le parti innestate mantengono le loro identità di parti e danno forma ad un tutto composito di materie straniere che non hanno membrane o pori, vie di comunicazione o correlazione. La chimera è unità a pezzi. Impalcatura di stanze attigue i cui suoni non passano attraverso le tende e muoiono sulle soglie. Idea falsa, vana immaginazione. Cellule che non si compenetrano. Composti insolubili, entità irrisolte.

Le chimere si moltiplicano in ogni direzione. I quartieri sono chimerici. Intorno alle case si estendono piccoli prati che avvolgono i quadrati di terra che diciamo nostri. I prati non dialogano con la strada e anzi sbattono contro i muri di proprietà e le siepi di alloro e viburno, lucide e fitte. Oltre queste i nostri impianti di irrigazione artificiale non vanno. Lo stacco fra la città di cemento e il nostro spazio privato verde di prato, al fresco del gazebo, è netto. Palm Springs è una chimera dai bordi matematici, neurologicamente marchiati con gli schemi binari tipici delle terapie geriatriche. Disconosce il deserto che la circonda, come un essere bagnato protetto da uno strato aderente di velluto a tenuta stagna. Le future città marziane, che siano sopra o sotto la superficie delirante del suolo irrorato di raggi cosmici, saranno chimere che escludono ciò che pur vogliono ma che le inghiottirebbe, una versione clorofluorocarburica e remota di apartheid coloniale. Il nostro cibo viene dalle interiora riscaldate e umide di strutture serricole di ferro isolante, che deformano le vie del sole e deviano i venti. E i campi da golf, ambienti chimerici per eccellenza, in cui le verità sociali ed ecologiche del mondo intero vengono negate da vigilantes discreti ma spietati; e i nostri appartamenti pieni di infissi e sigilli, sono tutti figli nani della logica chimerica, e i nostri volti coperti da mascherine ci fanno chimerici alla vista degli alieni e degli amici, la nostra compagnia una idea falsa, vana immaginazione.

E ora leggo che l’occhio puntuto dei binocoli da laboratorio ha setacciato placente umane e trovato plastica: microplastiche, coriandoli di polipropilene pigmentato, le schegge spumeggianti del sistema fossile che ci visitano nell’utero come alieni e diventano le prime entità con cui entriamo in contatto, polveri di Lilliput, puntiformi, incastonate nei nostri fluidi come calcoli renali o ciottoli sul fondo di un torrente.
Ciò che la plastica fa meglio è isolare, dividere, distinguere, contenere: a differenza di tutto il resto, non è compenetrabile da nulla. Per questo la plastica può servire a tutto, e per questo oggi è ovunque e nelle vite di tutti, a prescindere da classe, genere, razza e nazionalità. Ed è ora, leggo, con noi anche prima delle vite, con noi nelle placente, le plasticente, prima che io abbia occhi mi si attacca addosso, endemica a chi sono ma impenetrabile. Sono, allora, mamma, Plastic Man – circondato da ogni lato da questo materiale malleabile ma duro, colorato, che prima non esisteva e ora recalcitra come un mio gemello invisibile.

Nasco così chimerico, unito a una entità che rifiuta me come tutto il resto, che entra nei corpi usando le creme, le fibre e le docce. Il mio gemello petrolchimico, tossico e atarassico, che influenza tutti i suoi ambienti ma è esso stesso inscalfibile (e io e il mio stomaco e quello di mia madre siamo tutti ormai suoi ambienti, e le vene di tutti i popoli sono un suo ambiente e gli oceani e l’orbita del pianeta).  Esponente di un futuro che non contempla cambiamento, la plastica è ingrediente base per una scienza chimerica universale, ecumenica, infiltrante e pervasiva – ma per nulla ideale, per nulla vana, per nulla falsa, per nulla immaginaria. Plastica Reale, nata con me, cresciuta su di me come un lichene, la stessa materia che vedo ovunque, innestata nei miei spazi e nelle case degli altri, impilabile, ereditabile, vorticante, fedele solo a sé stessa e fuori dal ciclo di trasformazione che coinvolge tutto il resto.       

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