Era letteralmente il secolo scorso quando il giorno della marmotta visse il suo momento di maggior gloria. Precisamente il 1993, anno in cui il film Groundhog Day, italianizzato in Ricomincio da capo, confermò le carriere di Bill Murray e Andie MacDowell e impresse nella mente di tutti gli americani una nuova espressione colloquiale per riferirsi a una di quelle interminabili giornate in cui tutto sembra irrimediabilmente immutato. Appunto il giorno della marmotta, con buona pace delle marmotte, che invece mi sono sempre sembrate parecchio simpatiche.

Una ricorrenza leggera, proposta nella chiave della commedia, per raccontare un malessere più profondo: l’alienazione. Nel film tocca lo scorbutico meteorologo Phil Connors (Murray), chiamato a realizzare un reportage in una piccola cittadina americana per la ricorrenza del 2 febbraio e costretto a rivivere la stessa giornata senza soluzione di continuità.

Un paradossale intoppo che si trasformerà presto in un monotono rincorrersi di eventi e situazioni, deprimente e asfissiante. Una sensazione con cui purtroppo abbiamo imparato a familiarizzare, chi più chi meno, negli ultimi tempi.

Nel film, il punto di rottura arriverà nel momento in cui Phil, esausto, inizierà a focalizzarsi sui suoi veri talenti e sul rapporto con gli altri, riscoprendo la bellezza di una vita maggiormente sbilanciata verso gli affetti. Ma cosa c’entra questo, con il nostro presente?

Tutto, a giudicare dalle spiegazioni che si accavallano da diversi mesi a tema di Great Resignation o Big Quit: le grandi dimissioni volontarie di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che guardano alla propria vita professionale come una trappola senza possibilità di uscita. Un fenomeno nato in sordina negli Stati Uniti a fine 2020 ed esploso a metà del 2021 anche in Europa, in una tendenza in calo ma non in via di cessazione.

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Sono soprattutto i giovani al primo impiego e chi si colloca nella fascia 30-45 anni a premere per una drastica modifica dell’impostazione della propria vita, approcciando impieghi non sempre in linea con il proprio percorso professionale o scolastico, ma capaci di nuove prospettive.

Una vera e propria ondata che in luglio 2021 contava ben 4 milioni di persone coinvolte nei soli Stati Uniti, secondo i dati dell’US Bureau of Labor Statistics e che ha trovato un suo spazio anche in Italia: infatti secondo la nota redatta congiuntamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dalla Banca d’Italia (qui il documento ufficiale) le dimissioni volontarie sono aumentate del 23,2% da aprile a novembre 2021.

Dimissioni volontarie e
propensione al rischio

“Lascia solo chi può permettersi di farlo” è il commento più in voga sui social, in un forzato immobilismo che non sempre coincide con una fedele rappresentazione della realtà. I maggiori motivi delle dimissioni volontarie sono sì legati a un nuovo impiego all’orizzonte, ma molte testimonianze raccontano anche di una certa propensione al rischio, che a volte include il passaggio da un contratto a tempo indeterminato ad uno a tempo, oppure da lavoro dipendente ad autonomo.

Sicuramente una grande spinta è arrivata dalle sofferenze personali e professionali che Covid19 ha portato alla nostra struttura sociale: sempre più spesso la richiesta è quella di porre più attenzione all’equilibrio tra lavoro e vita privata e abbassare i livelli di stress.

Basta alla presenza fissa sul luogo di lavoro, a meno di non avere un ruolo che impedisca lo smartworking. Basta straordinari, che tolgono tempo ai propri interessi. Basta spostamenti inutili: tempi morti, traffico, consumo eccessivo di carburante solo allo scopo di raggiungere una scrivania non sono più così tollerabili, se questi due anni ci hanno mostrato un diverso approccio alla gestione della giornata lavorativa.

Letta così, sarebbe facile scambiare queste parole per la solita lamentela da ufficio. Ci sono però degli aspetti che meritano un approfondimento, a partire dalle richieste della forza lavoro: organizzazione, autonomia e crescenti responsabilità che possano portare a nuova linfa per la motivazione, produttività e un buon legame con colleghi e superiori.

Ma anche salario minimo, formazione, politiche attive del lavoro, equità salariale, servizi e welfare aziendale. Utopia? A giudicare dalla vitalità che il mercato ha dimostrato in questi mesi sembrano invece richieste plausibili, a cui molte aziende stanno già provando a dare riscontro.

La speranza è che questa propensione al miglioramento possa attecchire in tutti gli aspetti professionali, anche quelli in cui è attualmente impossibile applicare la flessibilità lavorativa, e a tutte le categorie, incluse quelle da sempre ai margini del mercato.

Un cambio di marcia, in questo senso, può arrivare dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), dalla lungimiranza di imprenditori e forza lavoro e dal superamento di convenzioni culturali ormai obsolete che vogliono ad esempio nelle mansioni di cura familiare, tipicamente rivolte a bambini e anziani, un impegno prevalentemente femminile. Solo cooperando sarà possibile arrivare al nuovo equilibrio tanto desiderato.

Un’ultima curiosità cinematografica: dal film cult degli anni Novanta Ricomincio da capo è stato tratto anche il remake tutto italiano É già ieri con Antonio Albanese, e si vocifera di una nuova serie in preparazione. Occhio alle piattaforme di streaming, dunque!

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