Scrivo nel mezzo di una grigissima domenica palermitana. L’aria è gonfia di umidità, residui della pioggia notturna appena trascorsa e di quella futura. Sui marciapiedi si scivola, ci si rompe una gamba, ma per fortuna ci sono le crepe a fare da interruzione, un attrito che salva le ossa.

Guardo attraverso i vetri di una finestra: era ora che l’autunno arrivasse, che l’inverno arrivasse, si ricomincia, siamo tutti qua finalmente a camminare rompendoci le gambe sotto un cielo subacqueo. Siamo tutti qua, anche se non ci parliamo, non ci vediamo, sappiamo di guardare la stessa scena piovosa, la stessa scena possibile e impossibile.

Di recente ho letto per la prima volta un best seller degli anni ’90. Il danno (titolo originale Damage) di Josephine Hart pubblicato nel 1991. Ai tempi il romanzo vendette 5 milioni di copie. Nel 1992 uscì l’omonimo film di Louise Malle con protagonisti Juliette Binoche e Jeremy Irons con la bellissima colonna sonora di Zbigniew Preisner.

Il pregiudizio sui best seller

Ho scoperto il film Il danno da adolescente, una folgorazione. Da quel momento l’avrò rivisto non so quante volte, è uno dei miei preferiti. Sapevo che la storia era tratta da un romanzo, ma avevo sempre rimandato la lettura imprigionata dalle mie restrizioni completamente insensate e da pregiudizi introiettati. Pensavo qualcosa come: “è stato un best seller, dunque sarà una paccottiglia, non sarà mai all’altezza del film, e tra l’altro, santo cielo, lo ha scritto pure una donna… sarà un romanzone rosa pieno di drammi e…”.

Niente di più sbagliato. Il danno è un romanzo complesso, intenso, un piccolo capolavoro del genere. Mi ha lasciato esterrefatta.

Il danno: una storia scandalosa
di riconoscimenti

Ho letto Il danno in forma di e-book sul cellulare in attesa di comprare quel benedetto
e-reader. Non mi capita spesso di leggere un romanzo conoscendo già la storia. È stata una esperienza incredibile. Durante la lettura, all’inizio avevo in testa le scene del film, i personaggi avevano le fattezze degli attori, ma questo automatismo di fantasia è cessato in brevissimo tempo. Le immaginazioni provocate dalla lettura hanno proiettato dentro di me degli scenari, dei tratti fisici e dei paesaggi nuovi, che non c’entravano niente con il film.

La storia raccontata ne Il danno ha i tratti del puro scandalo in qualsiasi anno si possa leggere. Josephine Hart decide di giocarsi una prima persona incentrata sul protagonista maschile, il dottor Stephen Fleming, che inizia una torbida relazione con la fidanzata del figlio.

Cosa accadrebbe, quindi, se un padre di 50 anni si innamora della fidanzata del proprio figlio? Da questa premessa, attraverso le pagine de Il danno, vengono indagati, con precisione, eleganza stilistica e intensità, i terrificanti e complessi comparti emotivi (nonché sessuali) di due persone che si incontrano, si riconoscono, e decidono di trasgredire i propri ruoli, verso la dannazione.

Il dottor Fleming e Anna Barton, la fidanzata del figlio Martyn, si incontrano per caso a un evento pubblico. È la ragazza ad andare a presentarsi: “Lei è il padre di Martyn. Io sono Anna Barton, e ho sentito che dovevo presentarmi.” (…). Josephine Hart descrive con maestria la complessità delle emozioni dei due protagonisti, si intuisce subito che quell’incontro sarà preambolo di un danno che cambierà a entrambi la vita.

“Restammo in silenzio, e io distolsi lo sguardo dal suo viso. Quando tornai a guardarla, due occhi grigi fissavano i miei e trattenevano loro e me, immobili. Dopo molto tempo disse:

«Che strano».

«Sì», dissi.

«Be’ ora vado».

«Arrivederci», dissi.”

L’abilità di Josephine Hart sta nel rendere questo incontro tra i due molto intenso utilizzando pochissime battute. Al lettore non serve altro che leggere quel “dopo molto tempo disse”, e “che strano”.

In quel momento Stephen e Anna sono due estranei, eppure percepiscono qualcosa, si guardano negli occhi e colgono qualcosa di strano. Quel qualcosa di strano non è l’attrazione fisica a generare lo scandalo nei due ruoli sociali ricoperti: padre di, fidanzata di; il vero scandalo (che li porterà a commettere un danno irreparabile) sta nel loro essersi riconosciuti come corpi e anime necessarie l’uno all’altra per la sopravvivenza in una società che non perdona la trasgressione dei propri ruoli.

Stephen intuisce immediatamente il pericolo, ma per lui è impossibile evitarlo:

“La mia anima si era gettata su Anna Barton. E io credevo che in una questione così privata tra me stesso e Dio mi sarebbe stato possibile lasciare correre avanti, senza timore di danni al cuore o alla mente, al corpo o alla mia vita. È in questo sostanziale malinteso che inciampano molte esistenze. Nell’idea completamente sbagliata che tutto sia sotto controllo”.

Josephine Hart mette in scena una storia d’amore non convenzionale

L’autrice mette in scena, con profondità e originalità, una storia di sottomissione e dominazione dei corpi e delle menti. Il personaggio di Anna Barton è affascinante, enigmatico, misterioso, pericolosissimo; una donna in grado di dire a Stephen: “inginocchiati a me e io sarò la tua schiava”.

Anna è una persona che ha ricevuto un danno in passato, e sa di poter sopravvivere, per questo è così pericolosa. La ragazza avvisa subito Stephen del pericolo nel frequentarla, ma lui contro ogni cattivo presagio, contro qualsiasi ruolo, che la vita gli ha appiccicato addosso (padre, marito, dottore, uomo di politica…) decide di schiantarsi:

“Quali menzogne sono impossibili? Quale fiducia è tanto preziosa? Quale responsabilità è così grande da negare la possibilità di esistere a quest’unica chance in tutta l’eternità? Disgraziatamente per me, e per tutti quelli che mi conoscevano, la risposta era… nessuna.”

Solo con una pistola puntata alla testa

Ho fatto qualcosa a un mio amico, gli ho fatto un danno. Urla, lacrime, notti insonni (le sue urla, le sue lacrime, le sue notti insonni). Non ho cercato nessun perdono perché il danno (ridicolo se messo in confronto con la storia di Josephine Hart) mi pareva una faccenda privatissima, e cosa c’entrava lui? Tuttavia, c’entrava, sì, per tutta una giostra di ruoli e possessività.

“Noemi, ma cosa cazzo può esserti successo nella vita per arrivare fino a tanto? Non mi interessano le tue motivazioni, non esiste nessuna motivazione, giustificazione, quello che importa è quello che hai fatto e basta, conta solo il fatto in sé. Ma come cazzo ti è venuto in mente?! Solo con una pistola puntata alla testa avresti avuto la motivazione per farlo, l’unica giustificazione che accetto è se mi dici che ti hanno puntato una pistola alla testa. Devi controllarti, te lo dico per la tua vita, il tuo futuro, devi cambiare, non è possibile fare queste cose”.

In due momenti chiave del romanzo, nei momenti in cui il danno si avvera, finalmente, i protagonisti ripetono questa formula: “impossibile, impossibile, possibile”. Per la Hart non esiste controllo, non esiste remore, non esiste rispetto, non esiste niente che possa fermare i corpi. È impossibile e possibile.

Controllo, pistola alla testa. Mentre il mio amico mi parla, ripenso alle parole di Josephine Hart: “quali menzogne sono impossibili? Quale fiducia è tanto preziosa?”. Lui parlava e io non dicevo nulla; combattevo solo debolmente, recalcitravo solo po’, pro forma, con la consapevolezza che avrei potuto rifarlo. La paura, la vertigine, lo scherzo di poter rifare tutto, ancora. Impossibile, possibile.

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