La prima cosa che disse Yuri Gagarin quando arrivò in orbita fu: “…ma da qui non si vedono confini”. Il confine naturale non esiste.

Il problema di demarcare, definire o delimitare è un problema culturale, non naturale, in natura non esiste discontinuità, la natura è continua, così come veniva ribadito in una mostra della Fondazione Benetton Studi Ricerche, a cura di Massimo Rossi (Treviso 2016) dal titolo La geografia serve a fare la guerra?

Ma, anche se la Terra è unica, un unico spazio e un unico ambiente, nella realtà i confini esistono e non sono un’invenzione dell’essere umano. Anche gli animali selvatici circoscrivono un territorio per avere l’esclusiva sulle risorse nutrizionali per sopravvivere come individui e sulle femmine per sopravvivere come specie.

Ma l’evoluzione che ha consentito a Homo Sapiens di staccarsi dagli animali selvatici, non è riuscita a eliminare il concetto di confine, non è riuscita a eliminare quella barriera entro la quale è padrone assoluto anche se molte riflessioni sono sempre state fatte nell’arte come nell’episodio dell’Eneide in cui la regina Didone accolse il naufrago Enea in nome dell’umanità perché le frontiere si chiudono di fronte agli aggressori, ma non ai naufraghi. Episodio richiamato nel saggio di Maurizio Bettini Homo sum per Einaudi, nel 2019.

Ma la storia e la cronaca attuale ci hanno insegnato drammaticamente che queste barriere possono essere superate anche senza il consenso, usando forza e violenza. I confini geografico/politici formano e definiscono anche il nostro senso di appartenenza a uno stato. Ma noi, poi, lo allarghiamo a quello di una regione, una città, un quartiere, una via, chiudiamo a chiave la nostra casa, la nostra automobile e, alla fine ma non per ultimo, delimitiamo e a volte chiudiamo a chiave anche la nostra stessa persona.

I nostri vestiti sono dei confini che separano il nostro corpo dagli altri e il loro superamento senza consenso si può ottenere solo strappandoli.

E così accade per i confini della persona in sé, quelli che ci rinchiudono nella nostra personalità, nei nostri pensieri nel nostro modo di vedere le cose, in una parola nel nostro intimo.

E, anche in questo caso, se qualcuno vuole entrare dentro di noi senza il nostro consenso lo può fare solo usando la violenza. Violenza, questa volta, emotiva, psicologica, occulta ma non certo meno dannosa.

Quindi, se volessimo stilare una definizione unica di violenza si potrebbe dire che questa esiste e si esercita per superare qualsiasi confine senza consenso.

E allora un mondo senza confini potrebbe eliminare la violenza? Forse sì, anche se sarebbe utopico sperarlo a livello geopolitico. Però forse potremmo fare qualcosa a livello personale. Per cui, come dobbiamo affrontare queste condizioni per non soffrire di abusi, resistenza o resilienza?

Nella mia pratica clinica ho visto entrambe queste forme, ma la resistenza implica una lotta che può accentuare il problema, la resilienza potrebbe portare anche alla sola sopportazione dell’altro e configurerebbe comunque una forma più subdola di violenza.

No, nessuna delle due può rappresentare la soluzione. La migliore che si può auspicare, se siamo impossibilitati a eliminare completamente questi nostri confini, è quella di renderli più permeabili, ridurre il più possibile le nostre chiusure, aprirsi di più.

Forse è banale dirlo ma ci tenevo a condividere questa riflessione in un blog dedicato al benessere. Perché proprio aprendosi si facilita la apertura anche degli altri con riduzione delle resistenze e dei reciproci confinamenti, predisponendo le migliori condizioni di benessere personale e sociale.

Quindi meno ci confiniamo, più ci apriamo, meglio vivremo e meno saremo soggetti o oggetti di violenza. Ed è per questo che c’è tanto bisogno di amore, unica soluzione che garantisce l’assenza di violenza.

Perché l’amore fa crollare automaticamente tutti i confini, crea canali comunicativi fluidi, naturali. Canali che generano condivisione della vita con reciproco potenziamento, condivisione di vedute diverse non sovrapposizione di personalità.

Quest’ultimo è l’amore-possesso, quello che chiude più d’uno in un unico confine ancora più rigido e che, se son vere le riflessioni fatte finora, comporta un ulteriore aumento delle condizioni favorevoli alle violenze. Se eliminiamo i nostri confini e ci riconosciamo in una comunità libera, non possiamo aspettarci che amore.

Infine, ci tengo a sottolineare che, se è inaccettabile la violenza di una persona su un suo simile, ancora più vigliacca è quella dell’uomo sulla natura che apparentemente non può difendersi.

Ma se ci sentissimo, come siamo, espressioni della natura stessa, sicuramente non la violenteremmo con i nostri abusi e non subiremo le sue involontarie (ma da noi provocate) conseguenze.

L’amicizia, che spesso è ancora più forte dell’amore stesso, potrebbe garantire il medesimo risultato come sottolineato da Paolo Crepet nel suo saggio Elogio dell’amicizia (Giulio Einaudi Editore, 2012).

“Image there is no border”, canta John Lennon, e prosegue “You will say I’am a dreamer”. Forse, ma senza sogni non si ama e, senza amore, non si vive.

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