L’Incredibile Storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia è una fiaba. Utopica, impossibile, magica. Una fiaba d’altri tempi, quando le regole ingiuste le si sfidava e non le si accettava passivamente. Quando l’estate si ballava il twist in riva al mare, inseguendo l’amore e la libertà di un attimo da cogliere e tenere stretto. Non c’erano foto da ritoccare, non c’erano smartphone né social. La condivisione era vera e tangibile: parole e carne, occhi negli occhi, mano nella mano. E allora, per chi non la conosceva o chi la conosceva già, la storia di Giorgio Rosa – interpretato da un Elio Germano dall’accento romagnolo – sembrava già scritta per essere un film, con una sceneggiatura all’altezza di quelle vicende che spesso arrivano dallo storytelling americano ma che, questa volta, giungono direttamente dalla costa adriatica, quella della piadina, del Cynar e del tirar tardi fino all’alba.

In breve: Giorgio Rosa, ingegnere bolognese, un po’ per ripicca e un po’ per sfida, nel 1968 fondò una micronazione al largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali italiane. L’isola, che era una piattaforma artificiale, rimase in piedi per un’intera estate. Il fenomeno, che ben presto arrivò sulle bigotte prime pagine dei quotidiani, smosse il governo del Presidente Giovanni Leone (Luca Zingaretti nel film) quando la Rose Island adottò una sua lingua, una sua moneta e, pensate un po’, una sua emissione postale. Per Giorgio Rosa, inadatto a vivere in una società che spingeva all’omologazione piuttosto che all’individualità e all’estro, fu un successo tanto che venne informalmente appoggiato dall’ONU quando richiese l’autonomia a Strasburgo. Peccato che, poco prima dell’indipendenza (che sarebbe arrivata, altroché!), lo stato italiano in una ridicola prova di forza bombardò l’isola nel febbraio del 1969, distruggendo il sogno di Rosa e della sua Isola che non c’è.

E dunque, per una storia del genere, la trasposizione cinematografica non poteva non essere affidata ad uno dei registi più oculati e riconoscibili del nostro cinema. Infatti, Sydney Sibilia, insieme alla produzione di Groenlandia (fondata dallo stesso Sibilia insieme a Matteo Rovere) dà al film un colore pop e uno spirito da commedia, pur enfatizzando la profondità della figura di Giorgio Rosa che, chi scrive, da oggi in poi, considera un vero e proprio eroe. E così, L’Incredibile Storia dell’Isola delle Rose, che è approdato con enorme successo su Netflix, diventa il divertissement perfetto per chi vuole approfondire (o scoprire) un’assurda quanto folgorante pagina tutta italiana. Sia per la geniale e visionaria personalità di Rosa, sia per l’ottusa e conservatrice visione di quel governo, ingabbiato dai dogmi della Democrazia Cristiana.

Ed ecco perché il film di Sibilia è, a tutti gli effetti, una favola in cui credere fortemente. Nonostante tutto. Nonostante non ci sia un lieto fine, l’intuizione poetica ed anarchica (nell’accezione più positiva di questo termine spesso abusato) di Rosa e dei suoi seguaci-sognatori (il nostro preferito? W. R. Neumann interpretato dal bravo Tom Wlaschiha) non può passare inosservata. Dietro la sua voglia di indipendenza c’era un grido condiviso di liberalismo e progressismo, di rivalsa contro una società moderna tagliata per sopprimere ogni slancio che vada contro il pensiero comune. Come quello di guidare una macchina senza targa e senza benzina, come quello di fondare un isolotto d’acciaio che ha una sola bandiera: quella della libertà. Ovvero, la cosa più bella che abbiamo.

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