La prima mestruazione è un momento che non si dimentica. Magari non suscita più la paura di qualche misteriosa malattia, perché le informazioni su cosa sia il ciclo mestruale ogni ragazzina può trovarle facilmente in rete; comunque rimane un’esperienza forte, un momento di passaggio dal sapore quasi rituale. Tanto più se, come è capitato alla nostra blogger Silvia Guzzetta, arriva in un giorno già segnato da un evento pubblico che con la ritualità ha molto a che fare, quello dell’elezione di un nuovo pontefice.

Le mestruazioni. La narrazione, una “cosa da donne”. E il padre?

In qualche modo i due eventi si corrispondevano, ricorda Silvia: lei che diventa signorina e lui vicario del Signore, entrambi chiamati ad assumere un nuovo ruolo sociale e le responsabilità ad esso connesse.

Nella narrazione delle mestruazioni è facile che il livello simbolico sovrasti quello fisiologico, con una mescolanza contraddittoria di tabù e carisma – da un lato il divieto di nominare la cosa, dall’altro l’orgoglio di mostrare la bustina dell assorbente che occhieggia dalla tasca come segno di appartenenza alla comunità delle grandi.

E la domanda che si pone la nostra blogger è tanto originale quanto interessante: se il ciclo è una cosa da donne, di cui si parla tra amiche e prima ancora tra figlia e madre, cosa significa per un padre il momento in cui una figlia smette di essere bambina e diventa donna? E’ un argomento di cui forse solo la letteratura riesce a parlare, per esempio attraverso il protagonista di un racconto di Tommaso Landolfi: un padre scisso tra l’impulso di continuare ad essere per la figlia il confidente, il complice, il punto di riferimento assoluto che è sempre stato, e la consapevolezza che il tempo dell’intimità innocente e senza segreti è finito per sempre. 

È difficile prevedere quando e in quali termini, ma sarebbe bello e anche liberatorio (non solo per le ragazze) se le nuove generazioni riuscissero a costruire un racconto delle mestruazioni come fatto naturale che appartiene al corpo femminile e al suo vissuto, e come tale non ha nulla di sporco, disgustoso o vergognoso. Qualcosa di cui poter parlare apertamente.

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